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CATANZARO – Un monsignore e un avvocato. Il boss Nicolino Grande Aracri, direttamente o indirettamente, poteva arrivare ovunque. Dalle alte sfere ecclesiastiche ai magistrati della Suprema Corte di Cassazione. Era capace di “aggiustare” un processo a Roma, così come di trasferire un detenuto in un carcere più vicino.

C’è anche questo nelle 1.300 pagine che compongono l’ordinanza di fermo emessa dalla Direzione distrettuale di Catanzaro nei confronti della cosca crotonese guidata da Nicolino Grande Aracri ed al centro della maxi retata che ha coinvolto anche Lombardia ed Emilia Romagna.

Sarebbe stato proprio un monsignore, in servizio a Roma, ad impegnarsi per ottenere il trasferimento di un detenuto del clan da un carcere del centronord ad una struttura calabrese. A riferire il particolare dell’indagine è stato il procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, nel corso della conferenza stampa che si è svolta nel capoluogo calabrese.

Secondo quanto ricostruito, il monsignore, del quale non è stata resa l’identità e che al momento non risulta indagato, si sarebbe impegnato in prima persona per tentare di ottenere il trasferimento del detenuto, cosa che però non è mai avvenuta.

«Non sappiamo se ci fosse nel monsignore la consapevolezza delle persone che aveva di fronte», da detto il procuratore Lombardo. In ogni caso, sono in corso ulteriori accertamenti nei confronti del presule che, è stato spiegato, «fa parte delle alte sfere ecclesiastiche». A gestire i rapporti con il presule sarebbero state «terze persone estranee apparentemente alla cosca». 

Ma tra i suoi fedelissimi, Nicolino Grande Aracri, avrebbe avuto anche un avvocato romano, Giovanni Benedetto Stranieri, 52 anni, del foro di Roma ma originario della provincia di Lecce. Sarebbe stato lui «a garantire l’interessamento nei confronti di un magistrato della Suprema Corte». 

Nello specifico, la cosca aveva voluto una “pressione” su un magistrato, che non è stato identificato, in vista della decisione sull’ordinanza di carcerazione di un esponente di spicco del clan, Giovanni Abramo, condannato in primo e secondo grado perché ritenuto responsabile dell’omicidio di Antonio Dragone. 

«La Cassazione ha annullato l’ordinanza – ha detto Lombardo – ma non abbiamo elementi per dire chi fosse il magistrato interessato, né per dire che questo sia avvenuto per le pressioni della cosca».

L’avvocato Stranieri avrebbe avuto stretti rapporti con il boss Grande Aracri, al punto da essersi recato anche a Cutro per fargli visita insieme ad una sua congiunta. Inoltre, sempre secondo l’inchiesta, il professionista avrebbe fatto da collegamento tra il clan calabrese e i personaggi detenuti, oltre ad intrattenere rapporti con alcuni esponenti attivi nel nord Italia. L’accusa nei confronti di Stranieri è di concorso esterno in associazione mafiosa. 

 

 

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