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Bruxelles, 19 mar. (askanews) – Giorgia Meloni è arrivata oggi a
Bruxelles, dove domani e venerdì parteciperà al Consiglio
europeo. La premier si presenta al summit dopo il doppio
appuntamento in Parlamento che ha visto la maggioranza approvare
– dopo giorni di tensioni – una risoluzione unitaria. Al di là
delle assicurazioni di “compattezza”, sui temi al centro
dell’agenda – in particolare sull’Ucraina e la difesa europea –
non sono mancati da parte dei leghisti i distinguo, le assenze
(più o meno strategiche) dei ministri e di Matteo Salvini, gli
attacchi diretti a Ursula von der Leyen. Meloni ha camminato sul
filo di un difficile equilibrio, mediando tra le diverse
posizioni, evitando di entrare approfonditamente sui temi più
divisivi, ribadendo ancora la linea di equidistanza tra Donald
Trump e l’Europa. Un equilibrio che sarà più difficile mantenere
con i partner europei.

Sull’Ucraina Meloni sostiene “gli sforzi” di Trump, un “leader
forte e autorevole”, considerando la proposta di cessate il fuoco
concordata l’11 marzo a Gedda da Stati Uniti e Ucraina “un primo,
significativo, passo di un cammino che deve portare a una pace
giusta e duratura” con “garanzie di sicurezza solide, efficaci e
di lungo periodo”. E anche la telefonata di ieri tra il tycoon e
Vladimir Putin ha aperto “un primissimo spiraglio”. In questa
ottica, la premier ribadirà la sua contrarietà all’iniziativa dei
“volenterosi”: per lei “l’invio di truppe europee proposto da
Gran Bretagna e Francia è una proposta molto complessa, rischiosa
e poco efficace” e comunque l’invio di truppe italiane “non è mai
stato all’ordine del giorno”. Ciò non è in contrasto con il
sostegno a Kiev, “mai stato in discussione”, ma se è “giusto che
l’Europa si attrezzi per fare la propria parte” è “nella migliore
delle ipotesi ingenuo, nella peggiore folle, pensare che oggi
possa fare da sola, senza la Nato”.

Legato al tema dell’Ucraina c’è quello della difesa europea.
Proprio oggi la Commissione ha presentato il ‘libro bianco’ che
dettaglia il piano “ReArm Europe”. Il nome non è gradito alla
presidente del Consiglio, che anche sui contenuti, però, mostra
diversi dubbi. Si tratta, per lei, di un annuncio “roboante”, con
una previsione di 800 miliardi di euro, senza risorse concrete
messe in campo da Bruxelles ma con la “possibilità di ricorrere a
deficit aggiuntivo”. E dunque “l’Italia valuterà con grande
attenzione l’opportunità o meno di attivare gli strumenti
previsti dal piano” e propone “soluzioni alternative alla
semplice creazione di nuovo debito” come “un meccanismo di
garanzie pubbliche europee, coordinato e integrato con i sistemi
nazionali, sul modello di quello attualmente viene utilizzato per
il programma InvestEU, per mobilitare più efficacemente i
capitali privati e rilanciare gli investimenti nel settore della
difesa”.

Il tema al centro del Consiglio è quello della competitività
europea. Su questo, come ha spiegato nelle comunicazioni in
Parlamento, servono “passi avanti concreti” per non condannare
l’Europa a un “ruolo di gregario”. Per l’Italia una priorità è
“un percorso di decarbonizzazione sostenibile” per imprese e
cittadini, collegato con una “politica industriale efficace, che
sappia combinare gli obiettivi ambientali con la competitività,
rinunciando agli eccessi ideologici”. Se il Clean Industrial Deal
“va in questa direzione” il governo è determinato a “impedire che
si trasformi in un nuovo Green Deal”. in questa direzione va il
non-paper presentato per il settore automotive. Il piano della
Commissione per il comparto – ha detto – “contiene alcuni primi
sviluppi positivi come la prospettiva di una soluzione – seppur
temporanea – per il tema delle multe per i produttori non in
linea con gli obiettivi di quota di mercato di veicoli, e
l’anticipo della revisione degli obiettivi in termini di
emissioni”. Sempre in campo economico servono, per Meloni
semplificazioni e l’Italia propone di “ridurre il costo di tutti
gli oneri amministrativi almeno del 25% per tutti, e almeno del
35% per le piccole e medie imprese”. C’è poi il capitolo
dell’energia: i prezzi sono troppo alti e occorrono misure sia
“immediate” che “strutturali”. Infine è per Meloni una “necessità
improcrastinabile” completare il mercato unico dei capitali ed
evitare che 300 miliardi di investimenti finiscano fuori dall’Ue.

Certo parlare di competitività economica in questo momento è
impossibile senza considerare il rischio (in parte già in atto ma
ancor più concreto dal prossimo 2 aprile) di una guerra
commerciale con gli Stati Uniti. E sui dazi la posizione di
Meloni sembra distinguersi significativamente da quella degli
altri leader. La parola usata, “rappresaglie”, per riferirsi alle
contromosse pensate dalla Commissione europea, ha un suono molto
critico nei confronti dell’atteggiamento di Bruxelles. Per lei la
strada è ancora quella del confronto con Trump (che vorrebbe
incontrare a Washington al più presto, ma una data ancora non è
stata fissata): “Bisogna ragionare in modo pragmatico e non
rispondere più per istinto che per valutazioni economiche serie,
altrimenti rischieremmo di crearci più problemi di quelli che
pensiamo di risolvere”, ha detto in Senato.

Tema strategico per l’Italia è quello dei migranti. Meloni
tornerà a riunire, a margine dei lavori, il tavolo promosso
insieme a Danimarca e Paesi Bassi e che vede coinvolti i governi
maggiormente impegnati nel contrasto all’immigrazione irregolare.
La premier, che rivendica “la drastica riduzione degli sbarchi
sulla rotta del Mediterraneo centrale” ha accolto favorevolmente
la proposta della Commissione europea sulla riforma del quadro
legislativo europeo sui rimpatri, attraverso il passaggio da una
direttiva a un regolamento direttamente applicabile nei 27 Stati
membri. Un cambio di ‘paradigma’ – per lei – che spinge il
governo a “portare avanti” il protocollo con l’Albania “anche
alla luce dell’interesse e del sostegno mostrato da sempre più
nazioni europee”. A questo proposito, Roma chiede alla
Commissione di “anticipare il più possibile l’entrata in vigore
di quanto previsto dal nuovo Patto Migrazione e Asilo sulla
definizione di Paese di origine sicuro” e guarda con attenzione
al ricorso davanti alla Corte di Giustizia sui trattenimenti in
Albania. “L’auspicio – per la presidente del Consiglio – è che la
Corte scongiuri il rischio di compromettere le politiche di
rimpatrio, non solo dell’Italia ma di tutti gli Stati Membri e
dell’Unione Europea stessa, perché significherebbe minare alla
base il sistema di Schengen e la stabilità stessa dell’Europa”.

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