X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

«No, mi creda, nessun complotto. Non so come il ministro Bray segue questa storia di Metaponto, ma se ne sta senz’altro occupando. In ogni caso, o chieda a lui». Come se fosse facile. Tomaso Montanari, chiamato da Bray a far parte della commissione che dovrà riformare il ministero della Cultura, nega che esista un problema di isolamento della Basilicata. Casomai, spiega, si tratta del riflesso condizionato di un Paese, il nostro, che «tende ad autorappresentarsi tagliando fuori la maggior parte del territorio, quasi che l’Italia si esaurisse nelle grandi città e nelle capitali d’arte. Che sciocchezza. Così facendo si tradisce la nostra stessa storia».

E infatti i giornali ignorano…

«Ma guardi che si tratta di un problema culturale, prima che politico. Non c’è alcun disegno per escludere dal dibattito nazionale parti del Paese. Non ci si rende conto che l’Italia è straordinaria  per questo: perché è una e, allo stesso tempo, diversissima. E’ paradossale che in un periodo in cui si esaltano le biodiversità, e le si considera una ricchezza, nascondiamo questa nostra caratteristica: il fatto di essere il Paese più biodiverso del mondo. Senza capire che quella che ci sembra una debolezza è una nostra forza».

Senta Montanari, lei è stato scelto da Bray per contribuire a cambiare il Ministero. Cosa c’è che non  va? E, in particolare,  quali sono le difficoltà che il Mibac incontra nella gestione di patrimoni come quello di Metaponto? 

«I problemi del Ministero sono soprattutto finanziari. Il taglio dei fondi ha causato un  rapporto squilibrato tra le strutture centrali e quelle periferiche. A danno soprattutto delle soprintendenze: che sono la vera anima del Ministero. Con la conseguenza che abbiamo assistito a una crescente burocratizzazione di tutto il comparto dei Beni culturali».

Sì, ma Metaponto che c’entra?

«A monte c’è un problema sul quale proprio la commissione della quale faccio parte sta cercando di intervenire. E il problema è che ci si dimentica spesso che il patrimonio italiano è costituito al 95 per cento di siti come Metaponto. Siamo tutti vittime di una distorsione mediatica per la quale l’Italia dei Beni culturali, invece, consiste, nel rimanente 5 per cento dei nostri tesori. E così va a finire che è questa piccola Italia ad assorbire il 95 per cento dei turisti. Così non va. I flussi turistici vanno governati: meno turisti a Venezia e Firenze, più a Matera e Metaponto».

E come si fa?

«Attraverso una strategia che ci permetta di controllare e orientare quello che viene venduto alle agenzie. Oggi i pacchetti turistici tagliano fuori appunto quel 95 per cento del Paese di cui si parlava. E l’ingresso dei privati non è la soluzione al problema, perché essi giustamente inseguono il profitto e trascurano le mete poco redditizie. Solo lo Stato può accollarsi perdite nell’immediato per realizzare un attivo (in termini di coesione sociale, identità territoriale, e sviluppo futuro) i cui dividendi si vedranno in seguito».

Torniamo a Metaponto…

«Il disastro di Metaponto ci dice che la vita dei monumenti e quella del paesaggio sono due aspetti di un solo problema. E che c’è spazio per una grande opera pubblica di messa in sicurezza del territorio. Occorrerebbe costruire un modello di gestione partecipata che coinvolga cooperative di giovani archeologi in collegamento con le Università. Siamo pieni di disoccupati e di siti che nessuno vuol gestire. I ragazzi porterebbero entusiasmo, competenza e fantasia. Quella che ci manca».

a.grassi@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE