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CATANZARO – La passione per il gioco coinvolge anche gli ‘ndranghetisti. D’altronde l’immagine dei Casinò è sempre stata suggestiva per gli amanti del potere: belle donne, soldi a fiumi, magari anche l’occasione giusta per riciclare i tanti proventi delle attività illecite. Così, l’ultima relazione al Parlamento della Direzione nazionale antimafia apre uno scenario inquietante sulla presenza dei mafiosi di Calabria tra i tavoli da gioco di Sain Vincent e Sanremo. Con le case da gioco che, osserva la Direzione nazionale antimafia, rappresentano tradizionalmente per la criminalità organizzata una forma di riconversione di denaro con risultati immediati.
Le indagini e le verifiche in corso non lasciano dubbi: nei due Casinò più noti d’Italia sono entrati in giacca e cravatta anche i mafiosi calabresi. Nel caso piemontese si tratterebbe di personaggi già emersi nell’indagine “Minotauro” condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Torino sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in Piemonte. 
Attualmente sono in corso verifiche, si apprende alla Dia, sull’andamento dei flussi finanziari riconducibili ai soggetti coinvolti nelle indagini, l’individuazione di conti correnti di appoggio, la quantificazione del denaro cambiato. La Direzione del Casinò, viene sottolineato, sta fornendo «piena collaborazione» agli investigatori. «Copiosa documentazione» è stata acquisita presso tutte le direzioni dei Casinò italiani ed è attualmente al vaglio degli investigatori della Dia. Ma anche nella città ligure della musica la condizione è del tutto simile. Gli uomini della Dia hanno accertato la frequentazione di soggetti con precedenti specifici per associazione a delinquere di stampo camorristico e di persone contigue ad ambienti ‘ndranghetisti che avrebbero varcato spesso la soglia del Casinò. Gli ufficiali e i funzionari della Dia di Genova stanno acquisendo, all’interno della casa da gioco, documentazione relativa al numero degli ingressi effettuati dai soggetti, la quantificazione del denaro, le modalità di incasso di eventuali vincite, l’individuazione di eventuali garanti, documentazione ritenuta utile riguardo a possibili ipotesi di reato quali la sostituzione e l’impiego di denaro di provenienza illecita. 
Montagne di fiches, roulettes e partite a fior di quattrini sarebbero una tradizione, non solo per ricchi appassionati. Le mafie italiane, e quella calabrese non poteva certo restare indietro, utilizzerebbero proprio i tavoli verdi a scopo di riciclaggio o attraverso l’acquisizione diretta del controllo della casa da gioco, con importanti effetti indotti quali, tra l’altro, l’acquisizione delle strutture legate al casinò (alberghi, ristoranti, locali notturni); o mediante l’abusiva concessione di prestiti ad alti tassi di interesse da parte dei cosiddetti ‘cambistì per finanziare i clienti in perdita e ormai invisi all’ufficio fidi del casinò; o infine (con la complicità dei cassieri) ricorrendo a giocate fittizie, cambiando rilevanti somme di denaro (in più tranche per sfuggire alle segnalazioni di legge), ed ottenendo poi a fine serata un assegno emesso dalla casa da gioco che attribuisce la liceità di una vincita alle somme provenienti da attività delittuose. Un nuovo filone investigativo, ma anche una nuova e redditizia fonte per la ‘ndrangheta e i suoi sodali che sembrano proprio essersi abituati ad indossare la giacca e la cravatta.
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