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TORNA a Napoli il Festival dell’economia del Mediterraneo. Torna in una stagione piena di incertezze, ma anche di opportunità a partire dalla necessità di ritrovare la via della pace e di un nuovo sviluppo, che sia pienamente sostenibile sia dal punto di vista ambientale che umano. Mai come in questo momento il Mediterraneo è la grande frontiera di una Europa che vuole essere protagonista di questa straordinaria trasformazione globale, non schiacciata fra Est e Ovest, fra Stati Uniti, mai così confusi, e Cina, mai così arrogante, un’Europa che non vuole essere subalterna ai propri vizi del passato.

D’altra parte la vera frattura del mondo passa oggi proprio attraverso il Mediterraneo, di cui noi stessi, l’Italia, il nostro Mezzogiorno siamo la frontiera più avanzata. Ad un Nord sempre più vecchio si contrappone un Sud ed in particolare un’Africa che cresce a ritmi mai visti in passato. Se in Europa abbiamo ormai una età media che va dai 38, 4 anni ci Cipro ai 48,4 dell’Italia, dall’altra parte, di fronte a noi sta un Continente africano che presenta una media di 19 anni, con oltre il 65 per cento della popolazione che ha meno di 25 anni e che raddoppierà entro il 2050 e per fine secolo raggiungerà i quattro miliardi di persone. D’altra parte sarà proprio l’Africa subsahariana che subirà il massimo impatto del cambiamento climatico, con una estensione rapida delle aree desertiche. Ed è ancora l’Africa subsahariana che presenta oggi i più alti indici di diseguaglianza misurati dalla Banca Mondiale come la concentrazione di ricchezza nelle mani del primo dieci per cento della popolazione. Ed è intorno al Mediterraneo che si concentrano le guerre, nuove e vecchie, che opprimono il nostro futuro, a partire dall’infinita guerra in Terrasanta – che terribile eufemismo- all’Ucraina ed alle sempre più dimenticate guerre d’Africa.

In questa situazione così opprimente, l’Europa con tutti i suoi limiti ci ha dato ottant’anni di pace, presentandosi ancora come la meno ineguale delle regioni del mondo, con valori di democrazia che resistono nonostante i tanti tentativi di manometterla continuamente, un’Europa che cresce quando è unita e si blocca e retrocede quando cede agli antichi richiami di un sovranismo ormai fuori tempo massimo.

Nel cuore di questa nuova Europa responsabile e dinamica il Mezzogiorno non può più essere considerato l’estremo lembo in ritardo di un’Unione rivolta al Nord, ma deve essere ritenuto la frontiera aperta, democratica ed attiva di un’Europa che voglia essere protagonista dei nostri tempi. In questa prospettiva il 2° Feuromed apre diverse piste di esplorazione e pensiero, a partire da una riflessione sui Quattro Mediterranei, da Gibilterra a Suez, che non vogliamo più intendere come luogo di conflitti perpetui, ma come grande rete da cui far partire pace e sviluppo, declinando questo assunto in termini economici, politici, sociali e finanziari. Diviene necessario però cambiare la nostra stessa narrazione sul Mezzogiorno, individuando i progressi realizzati, i presidi di ricerca e crescita, non senza certo disconoscerne gli ancora gravi problemi, ma riconoscendo che è proprio dal consolidamento di questo punto fondamentale di snodo fra Nord e Sud, che può ripartire un percorso di sviluppo per la stessa Europa, ritrovando proprio nell’educazione, nella cultura, nella ricerca i motori fondamentali per la crescita.

Qui si colloca la nostra attenzione per la proposta di Romano Prodi di una Università del Mezzogiorno, che unendo gli atenei delle due sponde possa consolidare istituzioni in cui costruire il nuovo percorso di pace e sviluppo insieme, proposta che Feuromed sostiene proprio a testimonianza di come la nuova narrazione del Mezzogiorno debba passare attraverso legami che uniscano l’intero mondo che si affaccia su questo antico, ma sempre nuovo Mare Nostrum.


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