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MATERA –  La  scrivania del questore Stanislao Schimera racconta, anche se in sintesi, la sua vita: accanto ai calendari della Polizia e al centro di un portapenne, ci sono tre pupazzetti in plastica colorata, un leone, un omino con ampio mantello blu e Homer Simpson. Più in là, la foto dei suoi due figli e  il libro “Un giorno maledetto” di Romolo Panico,  suo omologo  di Potenza.  Laurea a 22 anni con 110 e lode, Schimera decide di fare il servizio militare in polizia e da quel momento non smette più, nonostante la famiglia in cui era nato  fosse composta da madre casalinga e  padre impiegato. La passione per questa professione oggi gli fa dire con convinzione che stornasse indietro non sceglierebbe di usare la laurea per diventare avvocato. Farebbe ancora il poliziotto perchè «Siamo sacerdoti della società».  Schimera, dall’1 febbraio alle guida della Questura di Matera non ama i giri di parole e lo fa anche quando gli viene posta una delle domande che preferisce di meno in queste ore. Creare allarmismi esagerati non gli piace.

Togliamoci subito il pensiero: come valuta la bomba esplosa due giorni fa nella sala ricevimenti “I giardini della corte”?

«Capisco perfettamente il livello di percezione della città ma di ogni sasso non dobbiamo fare un monte. Non dobbiamo coprirci comunque gli occhi ma  non darei tanto peso a questo episodio sporadico. Diverso sarebbe se il fenomeno fosse più incisivo. L’ultimo risale a otto mesi fa. La Basilicata ha la fortuna di avere una strutturazione geografico che la tiene lontana da alcuni fenomeni se non per la fascia jonica. Nel tempo non credo proprio siano sorte compagini da essere definite “quarta mafia”. Basta mettere a confronto  i dati sulla zona di Altamura e Matera per comprendere le differenze».

In quanto, invece, al fenomeno che da tempo attanaglia il Metapontino dove numerosi sono stati gli attentati dinamitardi?

«Stiamo facendo grossi passi avanti. Quest’estate ne vedrete delle belle. Il lavoro della polizia e delle forze dell’ordine, non deve sempre fare notizia, si vede nel tempo. se la gente cammina tranquilla per strada, non subisce aggressione, vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro».

I risultati, dunque, si stanno vedendo?

«Dalla prima settimana successiva al mio arrivo, ho proposto un piano di lavoro alle altre forze di polizia e sta funzionando. Mi avevano detto che  c’erano molti   furti e borseggi al mercato settimanale e dunque abbiamo implementato i servizi, diviso la zona in griglie ognuna gestita da una forza di polizia che lavora in sinergia con le altre. Al lavoro ci sono uomini in divisa, furgoncino per le denunce, la scientifica che si occupa delle foto dei luoghi e gli agenti in borghese. Abbiamo abbattuto del 400% i furti i  borseggi in un solo mese. A gennaio avevano denunciato 16 borseggi, a febbraio uno solo,  per un portafoglio con 30 euro».

Problemi di organico per mettere in atto questo programma?

«No. Avere più risorse ci consentirebbe maggiori servizi, ma se c’è l’intelligenza di gestire i numeri a disposizione in modo oculato, si può lavorare bene lo stesso. Basta, ad esempio, verificare quando, dove e in che orari  in una settimana si verificano reati, ci può aiutare a concentrare le forze. I poliziotti non sono più quelli di “Guardie e ladri” con Aldo Fabrizi che rincorreva Totò, sono quelli  che sta per strada si guarda intorno e interviene sul pericolo».

Cosa ne pensa delle nuove tecnologie applicate a questo settore?

«Le trovo indispensabili. L’unico problema è che ci vogliono molte risorse, ma abbiamo  elementi  insostituibili: la voglia di fare e l’attaccamento alla maglia. Non facciamo questo mestiere per denaro».

Un questore, oggi, deve occuparsi anche di conti?

«Non bisogna compiere l’errore di pensare che i poliziotti siano solo quelli dei telefilm che fa le investigazioni.  Siamo comunque gestori di personale, a capo di una struttura che in questo caso è composta da 220 uomini, 160 circa in Questura e circa 60 fra Policoro e Pisticci.  L’antica Roma insegna molto: vinsero perchè  avevano una grande logistica, ovvero chi si preoccupava dell’organizzazione. Ecco come lavoriamo noi oggi: permettere al personale di operare su  strada, fornendo le auto, la struttura medica, l’organizzazione, faccio il poliziotto con loro e più di loro».

Fra quattro mesi ci sarà la Festa della Bruna, come pensa di affrontarla?

«La macchina organizzativa è già stata rodata e mi pare che funzioni. Non mi preoccupa una festa che si svolge con allegria e partecipazione. Più preoccupante è stato invece aver rischiato la vita a Bari, l’1 agosto 2011 (una vera e propria guerriglia fu messa in atto da extracomunitari del centro Cara di Bari-Palese, ndr.).  Quello sì è stato un giorno di guerra».

a.ciervo@luedi.it

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