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CATANZARO – Usava la moschea per seminare odio e rabbia, mentre il figlio spaziava sul web per diffondere il loro messaggio di morte. Era il terrorismo del nuovo millennio, quello emerso dalle carte dell’inchiesta “Hanein” (tradotto in italiano “nostalgia”), sfociata a gennaio dello scorso anno nell’arresto di tre cittadini marocchini accusati di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale e adesso in una richiesta di archiviazione formulata dalla stessa Procura che aveva lavorato al caso. Del resto la Cassazione parla chiaro e il terrorismo virtuale, fatto di manuali e corsi di formazione, finalizzati a formare il perfetto terrorista, capace di puntare e colpire l’obiettivo da infallibile cecchino, così come di preparare e utilizzare l’esplosivo, per far saltare in aria i mezzi militari dei paesi occidentali presenti in Iraq, non è reato; tanto che, alla luce della sentenza dei supremi giudici, a restituire la libertà ai tre magrebini, ad otto mesi dall’arresto, ci avevano già pensato i giudici del Tribunale del riesame. Tutto, infatti, era rimasto virtuale. Anche il reato. 

 

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