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CARA Lucia,

il dibattito sempre vivo sul tuo giornale sta avendo per me in questi giorni la funzione di un farmaco che mi impegno ad assumere quotidianamente nel disperato tentativo di guarire dal tedio profondo che le vicende della politica nazionale e, forse ancor più, locale hanno ormai da un po’ generato in me. Purtroppo,  però, più leggo e medito, più mi convinco del fatto che non ci resta che aspettare la catarsi che, prima o poi, dovrà pur esserci malgrado i candidati e malgrado gli elettori. Negli ultimi tempi, infatti, di fronte allo spettacolo del tutti contro tutti, messo in scena tanto a destra e tanto a sinistra, l’unica luce che mi è parso di scorgere in fondo al tunnel della politica è stata il sintomo all’interno dei partiti di una galoppante malattia autoimmune che, per fortuna, li sta corrodendo e distruggendo con una notevole velocità; nel Pdl come nel Pd, infatti, le cellule sorelle si stanno riconoscendo come nemiche e si aggrediscono l’un l’altra con una virulenza che, forse, non si è mai vista nemmeno tra avversari dichiarati. Le parole di Fabrizio Cicchitto rivolte al direttore Sallusti in una “storica” puntata di Ballarò, così come il duello all’ultimo sangue ( che è cosa ben diversa dal confronto democratico) combattuto nel Pd lucano, ci dicono che di nobile in questa politica non c’è ormai proprio più nulla e che per l’elettore persino salvare il salvabile sta diventando un’utopia, perché il salvabile –chiediamocelo – dov’è? La Candidopoli lucana forse non è tanto una favola, come scrive la mia amica Antonella Pellettieri, ma piuttosto un miscuglio di tragedia e farsa che servirà ad allontanare ancora più persone dalle urne e non certo per disinteresse o indifferenza, ma perché sul carro su cui dovrebbero esserci ideali ed idee –lo dico al mio compagno di cinguettii Nino Carella- non sono rimasti che leader, leaderucci ed aspiranti tali, di quelli che non raggiungono nemmeno l’altezza (vituperabile ma considerevole) della Nutella e in nome del rinnovamento propongono il vecchio di se stessi presentato come taumaturgico bene di esperienza. 

Questo nella migliore delle ipotesi; l’alternativa è il caos o il populismo sfrenato o la testimonianza per la testimonianza o anche peggio. A destra non si vede terra; tra le storie di sedicenti cavalieri senza macchia e senza paura annoveriamo la folgorazione post primarie di Miko Somma (iscrittosi felicemente a quel Pd che tanto vituperava), la piccola azienda familiare dei Radicali ( ma quanti sono in tutto sul territorio nazionale, sempre gli stessi cinque o sei?), la cavalcata a piedi del grillismo lucano (così preoccupato di levigare la propria immagine che si sta dando un gran da fare a cancellarla), il flusso di coscienza di Gaetano Cantisani ( che ancora non si è accorto che il suo è un partito fantasma), il piede in molte scarpe di Benedetto ( che sta in un gruppo e si candida in un altro) e il comunismo incerto (incerto come l’ortografia) di chi sta ora un po’ più di qua ed ora un po’ più di là più per incazzatura che per politica vera.

«Il saggio si dedicherà alla politica a meno che qualche circostanza non glielo impedisca”. Così diceva Zenone; persino gli stoici, insomma, che pure credevano nell’impegno politico, che pure qualche volta si sentivano costretti a rimanere a naso turato affianco al potere, prospettavano un limite che era quello, invalicabile, della necessità di non tradire se stessi, i propri valori ed i propri ideali. Di fronte a così devastato panorama, pertanto, nessuno dica che il non voto sarà figlio di indifferenza, nessuno accusi chi deciderà di non recarsi alle urne o, magari, di bruciare la tessera elettorale in pubblica piazza. C’è un limite all’accettazione e quel limite è stato superato già da tempo con il ricattuccio becero e velato (a volte più e a volte meno) di chi promette e clienteleggia, con il taccuino di chi ti chiede il voto e annota qual è il tuo seggio perché dovrà controllare –te lo dice chiaro- se tu lo voterai davvero. Il limite è stato superato con quella Rimborsopoli di fronte alla quale molti hanno fatto proprio il verbo berlusconiano e con quel rinnovamento arrotondato per difetto che ha portato ad accordi deludenti.

Aspetteremo le liste, gli apparentamenti e i listini nella speranza di capire fino all’ultimo istante come spendere il voto; dopodiché il 17 e il 18 novembre non ci resterà che contemplare il mare d’inverno con il rimpianto, al più, per i politici fakes. Tra la Nutella ed il resto, voterò per Zenone.

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