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POTENZA – Resterà a piede libero Angelo Nolè, 63enne di Filiano: il quarto uomo finito nel mirino degli inquirenti con l’accusa di essere stato tra gli organizzatori del duplice omicidio dei coniugi Gianfredi, il 29 aprile del 1997.

Lo ha deciso la Corte di cassazione accogliendo il ricorso presentato dal legale di Nolè, l’avvocato Valeria D’Addezio, che aveva evidenziato in particolare la mancanza di esigenze cautelari nei suoi confronti.

Intanto da Salerno sono già partiti gli avvisi di chiusura delle indagini, e la Dda sembra intenzionata a chiedere il rinvio a giudizio per lui e per i vertici del vecchio clan dei basilischi, in carcere da febbraio come mandanti dell’agguato di Parco Aurora. Si tratta del pignolese Saverio Riviezzi, del potentino Carmine Campanella, e del fondatore della “quinta mafia” – nonché ex pentito – Gino Cosentino, che fino alla revoca del programma di protezione nei suoi confronti non aveva mai ammesso responsabilità per i fatti di sangue attribuiti alla “famiglia” tutta lucana.

Con loro risultano indagati e potrebbero finire “alla sbarra” anche due pentiti: il melfitano Alessandro D’Amato, e il boss Antonio Cossidente, che hanno confessato rispettivamente di aver fatto parte del gruppo di fuoco e di aver organizzato l’agguato.

Secondo i giudici della Suprema corte Nolè non sarebbe più in grado né di inquinare le prove, né di scappare o commettere nuovi omicidi. Fermi restando gli indizi a suo carico. D’altronde i suoi ultimi contatti con gli uomini del vecchio clan dei basilischi risulterebbero molto datati.

A chiedere il suo arresto, già negato a febbraio dal gip Maria Zambrano, era stato il pm Rosa Volpe, e ad aprile il Tribunale del riesame aveva dato anche il via libera, sospeso proprio in attesa della scadenza dei termini per il ricorso in Cassazione.

A fare il suo nome prima con gli investigatori dell’antimafia lucana, e poi con i colleghi campani, sono stati sempre i due pentiti che con le loro dichiarazioni – nel 2010 – hanno segnato la svolta nel mistero sui killer di Pinuccio Gianfredi e Patrizia Santarsiero.

Secondo Alessandro D’Amato, l’ex camionista che ha ammesso di aver sparato – senza sapere che nell’auto ci fossero anche la donna e i figli della coppia, scampati soltanto per miracolo –  Nolè avrebbe fatto da intermediario tra lui e Riviezzi.

«Io so solo che si sono riuniti tutti e tre, Cossidente, Riviezzi e Nolè, e hanno deciso che comunque si doveva incominciare ad ammazzare queste persone. A fare rumore. E a far rumore significava far rumore forte (…) dovevamo colpire il pezzo». Queste sono state le parole di D’Amato ai pm di Salerno nell’interrogatorio del 5 dicembre del 2012.

Mentre Antonio Cossidente, il boss pentito della calciopoli rossoblu e delle relazioni scottanti coi palazzi che contano, ha riferito di sopralluoghi effettuati da Nolè assieme a Campanella, con cui sarebbe stato legato anche da un rapporto di parentela.

«E’ andato pure Angelo Nolè qualche volta insieme a lui, perché poi erano… i due sono, tra parentesi, dovrebbero essere anche, se non sbaglio, cugini o compari». Così il padrino diventato collaboratore di giustizia due mesi dopo le prime dichiarazioni di D’Amato. «Molte volte anche il Nolè accompagnava il Campanella nei vari appostamenti anche perché Nolè non era conosciuto in quella zona e neanche dal Gianfredi. Quindi spesso, mi diceva Campanella, che qualche volta è capitato che Nolè andava anche sotto casa, così passeggiando come una persona normale».

Di più sul suo conto gli investigatori della Mobile di Potenza hanno recuperato un tabulato telefonico in cui compare il numero di sua moglie affianco a quello di Massimo Cassotta, considerato il referente del clan dei basilischi nel melfitano e fratello di Marco Ugo, un’altra delle vittime di Alessandro D’Amato.

Per il gip di Salerno si sarebbe trattato comunque di elementi insufficienti. A suo dire infatti i collaboratori sarebbero stati «vaghi nel tracciarne il contributo limitandosi a identificarlo tra i mandanti ed organizzatori».

Soddisfazione per la decisione della Cassazione è stata espressa dal difensore di Nolè, Valeria D’Addezio, contattata dal Quotidiano. «Adesso siamo fiduciosi – ha aggiunto – che in sede giudiziaria anche i dubbi residui sulla sua posizione vengano chiariti in maniera definitiva».

l.amato@luedi.it

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