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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Il Cavaliere-flop di Milano e i risultati complessivi conquistati dall’attuale maggioranza di governo, con il loro sopraggiungere improvviso, hanno riempito trasmissioni di approfondimento, pagine e pagine di giornali, suscitando una ridda di commenti, analisi, lucide o strumentali, e tanto tanto rumore che diverrà sempre più assordante sino a domenica prossima, quando, con la seconda tornata, avremo il quadro complessivo della situazione. Ovviamente i risultati vanno comunque accettati, quali che siano i propri orientamenti politici, ma questo non annulla la possibilità di assumerli comunque come segnali di tendenze in atto nel nostro Paese e che appaiono già sin d’ora momenti di un processo lungo ma irreversibile. Il disfacimento dell’“uomo del fare”, la rottura della bolla dell’immaginario che faceva ritenere invincibile Berlusconi, la ripresa di volontà politica da parte di tanti che se ne erano allontanati per disgusto della mediocrità, quando non della corruzione, di cui la vita politica era ed è prevalentemente intessuta, il vento di primavera che ha iniziato a spirare a Milano e in tante altre città, fanno pensare a una concreta possibilità di una diversa stagione politica che si può aprire dinanzi a noi. Si intende che nessun movimento o risultato sono dati una volta per tutti; essi possono essere accelerati o ritardati a seconda dei nostri comportamenti individuali e collettivi. Anche nella nostra regione dipenderà da noi e dal nostro voto di domenica prossima far giungere o allontanare di molto il vento di primavera di questo auspicabile rinnovamento. Chi si è allontanato dalla politica data la mediocrità complessiva del nostro ceto dirigente, tranne le pur notevoli eccezioni, non può continuare a guardare dall’alto la nostra disastrata realtà regionale, chiudendosi nel fortilizio di una propria improbabile purezza politica, perché anche al suo arroccarsi è dovuto un siffatto panorama regionale. Mai come adesso ritorna perentorio l’invito a sporcarsi le mani perché, nonostante tutto, la politica è merda e sangue; dobbiamo assumerla in tutte le sue ambivalenze a contraddittorietà se vogliamo realmente modificare una realtà sempre più pesante, sempre più drammatica. I risultati della scorsa settimana, comunque, sollecitano una riflessione che superi la cronaca quotidiana per individuare uno scenario più ampio e ambisca a costituire l’inizio di un’antropologia del potere. Le modalità con le quali si è espletato nel tempo e nelle diverse società il potere è stato ed è oggetto delle scienze demo-etno-antropologiche, sino a costituire una specifica articolazione disciplinare: l’antropologia politica, appunto. In questa sede è possibile soltanto un rinvio alla vastissima letteratura scientifica. Occorre però notare che modalità culturali che sembrano, a una prima lettura, appartenere a una diversa articolazione antropologica, ad esempio quella religiosa, a una più approfondita analisi rivelano una loro più stretta aderenza all’antropologia politica, rivelandosi momento di una strategia di potere pur diversamente ammantata. Si pensi, e si tratta soltanto di alcuni esempi possibili diversi nel tempo e nella strumentazione concettuale, all’opera sulla credenza nel potere dei Re di Francia di guarire dalle scrofole con l’imposizione delle mani, oggetto dell’indagine di Maurice Bloch, o al discorso sulle apparizioni della Madonna in un piccolo paese del salernitano che alcuni anni fa si diffuse rapidamente in tutta Italia e che Maria Teresa Milicia ha analizzato come quale momento di specifiche strategie di potere nello scenario dei conflitti politici locali. Va sottolineato, inoltre, che si possono individuare sia il livello di macropotere, dove macroscopici interessi di Stato o di grandi casate entrano in competizione per l’acquisizione e il successivo mantenimento di sempre maggiore potere, sia il livello di micropotere, nel quale si dispiega una miriade di azioni e situazioni apparentemente minute, ma che comunque sono indicative di una dinamica sempre operante di egemonia e subalternità. L’impronta solidaristica ha ispirato diversi articoli della nostra Costituzione, per la preparazione e la stesura della quale furono determinanti uomini politici formati dal cattolicesimo e dal marxismo, orientamenti che, pur nelle innegabili differenze, sono profondamente segnati dall’etica della solidarietà. Sarebbe utile, oggi in cui tanto si parla della necessità di modificare la nostra Carta fondamentale, irresponsabilmente considerata superata e grave ostacolo al libero sviluppo economico, leggere i dibattiti dell’Assemblea Costituente per misurare quanto alto fosse il senso delle istituzioni che animava gli uomini politici di quel tempo e il loro voler pensare per tutta la comunità nazionale e non per utilitarismo personale o elettoralistico. Oggi il panorama è indubbiamente cambiato, ma se molto è nuovo, non tutto è nuovo. Tratti culturali di antica o di recentissima formazione si mescolano in un magma di difficile lettura che mantiene però le più antiche funzioni, aggiungendone di nuove. Così è avvenuto, per ritornare al discorso sul potere, nella rappresentazione di esso attraverso la spettacolarizzazione e la conseguente necessaria personalizzazione. Il Potere è il capo, il Capo è il potere. Tutto questo rivela una personalizzazione della politica che va molto al di là della sua spettacolarizzazione, alla quale ci ha abituato il modello statunitense, prontamente adottato in Italia. Il berlusconismo ha rappresentato la più clamorosa esaltazione della personalizzazione della politica, di una liturgia elaborata attorno alla figura sacralizzata del Capo. Tutto questo è entrato in crisi la scorsa settimana; la maggior parte degli elettori ha mostrato di essere stanca di questo modello. Berlusconi è ancora una stella nel firmamento della politica, ma, pur illuminando, non produce più luce dall’interno, è interiormente spento. La maggior parte delle considerazioni qui svolte ha assunto legittimamente il potere come dimensione nella quale uno o più persone dominano altri pur in forme estremamente differenziate: si è inteso, cioè, il potere come potere su. Vi è però la possibilità di intenderlo come potere di, possibilità, cioè, di realizzazione delle proprie potenzialità, necessario spazio per sperimentare la propria irrinunciabile soggettività. La dotazione biologica con la quale veniamo al mondo è messa a frutto nel tempo a seconda delle sollecitazioni che il bambino riceve nel contesto nel quale vive. Il ritardo nello sviluppo mentale e psicologico dei bambini rinchiusi nei diversi istituti di accoglienza (si pensi alla lezione di Franco Basaglia sulle Istituzioni Globali) mostra drammaticamente il ritardo nell’apprendimento emotivo e cognitivo che spesso viene superato nei casi di adozione. Si rende estremamente evidente così un dislivello nelle condizioni di autorealizzazione degli individui. Le diverse condizioni sociali, i contesti storici e geografici, influiscono in maniera determinante sul potere di poter realizzare le proprie potenzialità che possono, in assenza di condizioni favorevoli, restare sul piano virtuale. Il potere, nella prima accezione qui indicata, ha dilatato enormemente la sua sfera invadendo tutti gli ambiti della nostra vita associata; nella seconda accezione, invece, ha avuto vita stentata ed è continuamente avversato nei suoi tentativi di attuazione. Forse, sarebbe opportuno contrastare la sfera del potere su per dare sempre maggiori possibilità di concretazione al potere di. L’umanità è essenzialmente costruzione di umanità.

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