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Adriano Musi lascia il Partito Democratico. Il commissario ha salutato la struttura del partito a Lamezia e poi ha affidato ad un comunicato ufficiale il suo pensiero sottolineando la pressione avuta in queste ultime settimane di tutti i dirigenti a superare la fase commissariale. Tutti d’accordo sul «basta commissariamento» anche se sul «come» ci sono registrate non poche divisioni.
«Il mio compito si conclude oggi – scrive Musi – consegnando il regolamento per lo svolgimento dei congressi ed i nominativi dei presidenti delle commissioni di garanzia provinciali. Un mandato che cessa oggi per non vanificare quell’unità di intenti registratasi per realizzare i congressi».
Il senatore sgombera il campo da equivoci: «Se l’impedimento al pieno dispiegarsi delle libertà di scelta degli iscritti è il commissario; se l’impedimento alle libere primarie per la scelta dei candidati nazionali è il commissario; se l’impedimento a migliori risultati per il Pd calabrese, in armonia con quanto già seminato nelle elezioni regionali 2010, è il commissario; se l’impedimento al pieno realizzarsi della democrazia nel partito, senza personalismi e litigi da comari, è il commissario; se l’alfa e l’omega di tutti i problemi calabresi è il commissario, allora il commissario, nell’interesse dei calabresi, se ne va. Un commissario, – aggiunge – orgogliosamente ciociaro, che vuole smentire i facili profeti, i quali, descrivendo il commissariamento, lo definirono “l’unico a guadagnarci”».
«Il commissario crede che gli unici a doverci guadagnare – scrive nella lettera in cui annuncia le dimissioni – dovrebbero essere i calabresi e la Calabria e mi auguro che questo possa realizzarsi. Il commissario – continua Musi, – se ne va per l’unità del partito; se ne va per farlo vincere. Se ne va, ma, calabresi – conclude – fatevi sentire con il vostro mo’ basta».
Una sconfitta dunque, un fallimento di un’intera classe dirigente che aveva portato il centrosinistra alla guida della Regione e delle maggiori città salvo poi segnare il passo. L’incapacità di rinnovare la proposta politica è stato l’errore maggiore unita all’eccessiva litigiosità. Un Pd caduto sul campo che ora stenta a rialzarsi.

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