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COSENZA – Sei anni dopo è stata messa la parola fine alla vicenda giudiziaria di don Alfredo Luberto, il monsignore accusato di essersi arricchito coi soldi dell’istituto “Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello (Cs). Ieri sera, infatti, la Suprema Corte di Cassazione (presidente Prestipino) ha rigettato il ricorso presentato dagli avvocati Nicola Carratelli e Angelo Pugliese, del foro di Cosenza, ritenendolo inammissibile. I difensori avevano chiesto la prescrizione di diversi reati minori e l’esclusione del reato di associazione. Di diverso avviso i supremi giudici. E così la condanna a cinque anni di reclusione per don Luberto, che è stato presidente del Consiglio di amministrazione del “Papa Giovanni”, è diventata definitiva. Il consigliere relatore Piercamillo Davigo (noto per essere stato negli anni Novanta componente del famoso pool “Mani pulite”) aveva chiesto il semplice rigetto.

Gli stessi supremi giudici hanno rigettato anche il ricorso che era stato presentato dall’avvocato Guerrera per conto dell’imputato Mario Carpino, ex direttore sanitario della struttura di Serra d’Aiello. 
Diventa così definitiva la sua condanna a quattro mesi. Ovviamente spicca la condanna di don Luberto, il principale imputato dello scandalo del Papa Giovanni, struttura che assistiva pazienti con problemi psichiatrici. In primo grado era stato condannato col rito abbreviato a 7 anni di reclusione. Era il novembre del 2009. La sentenza fu letta dal gup del tribunale di Paola. Seguì il ricorso in Appello, col pg Eugenio Facciolla (il pm che aprì le indagini sullo scandalo) che arrivò a chiedere 9 anni di reclusione, due in più di quelli inflitti in primo grado. I giudici del secondo grado scesero invece (e a seguito della prescrizione di alcuni reati) a cinque anni, sentenza che ieri è diventata appunto definitiva. L’ex responsabile del “Papa Giovanni” fu tratto in arresto nel luglio del 2007.
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