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La grande scritta nera “No Petrolio” campeggia in questi giorni nel Sasso Caveoso di Matera, proprio sotto il set dove si stanno effettuando le riprese del colossal Ben Hur. I pastori furono probabilmente i primi abitanti dell’attuale Basilicata ad utilizzare già da tempi remoti il petrolio che affiorava in superfice, non per fini energetici ma a scopo terapeutico “per medicare le piaghe degli animali”. La conoscenza dell’esistenza di giacimenti di oro nero in Basilicata è documentata almeno a partire dal 1898, quando a Potenza si tenne la prima conferenza geologica nazionale. Il motivo della scelta proprio di Potenza per il meeting dei geologi era dovuto principalmente alla di conseguente al disastro ferroviario del 20 ottobre 1888, che coinvolse un treno partito dalla stazione di Grassano e mai giunto nella stazione di Grottole a causa di una frana verificatasi nel territorio di Salandra che coprì i binari, bloccando la corsa del treno che impattò nel movimento franoso rimanendo immerso nel fango. Da quella circostanza gli scienziati della terra impararono a conoscere ogni angolo della Basilicata che per le sue particolarità topografiche e geologiche è divenuta un laboratorio di studi da parte dei geologi di tutto il pianeta. A seguito dell’evento e delle risultanze di quel congresso, l’Ispettore Capo del Corpo reale delle miniere, conferì nel mese di settembre 1901, l’incarico all’ingegner Cataldo Crema di relazionare “Sull’esistenza del petrolio nel territorio di Tramutola”. Lo scrupoloso funzionario eseguì il suo compito confezionando la relazione consegnata al Ministero di pertinenza nell’ottobre del 1901. Munitosi di carta geologica, l’ingegner Crema ispezionò la Val di Cavolo, descrivendola in modo dettagliato. Di questo lavoro, rinvenuto in Archivio di Stato di Potenza, Fondo Pedìo, carte Ciccotti, busta 31, per esigenza di sintesi si riportano i passaggi salienti:

«Il mio soggiorno a Tramutola durò quattro giorni, durante i quali visitai dapprima tutte le località del territorio, dove con maggiore minor fondamento si riteneva esistessero detti indizii e, circoscrissi, così la regione petrolifera alla sola parte settentrionale della Val di Cavolo, impiegai il resto del tempo cercando di formarmi un criterio intorno alle condizioni del presunto giacimento, per quanto una tal cosa è possibile con osservazioni eseguite esclusivamente sul terreno. […]

Il Rio Cavolo è perenne e dotato di una discreta portata; le sue acque opportunamente convogliate sarebbero suscettibili di utile impiego per produzione di forza e sboccando nella piana dell’Agri, potrebbero ancora essere utilizzate per l’irrigazione.[…]

I terreni nei quali è scavata la Val di Cavolo sono, oltre al quaternario: il trias medio, il trias superiore, il cretaceo e l’eocene.[…]

Questo motivo tettonico così semplice viene però disturbato da raggrinzamenti e spuntoni triassici che elevandosi in forma di cupole attraversano l’eocene e vengono a giorno specialmente sul versante orientale. Queste cupole, almeno nelle parti visibili, costano esclusivamente dei calcari compatti del trias medio, i terreni soprastanti facilmente erodibili essendo interamente scomparsi. […]
Il principale indizio dell’esistenza del petrolio nel sottosuolo della regione considerata si trova in un valloncino situato nel versante sinistro della valle a circa tre chilometri dalle sorgenti del Cavolo, immediatamente dopo la costa Caranna. Esso viene comunemente chiamato Fossitello, ma non porta alcun nome sulla Carta topografica dell’Istituto geografico Militare.
Quest’indizio consiste in una piccola sorgente petrolifera la quale sgorga in questo valloncino a circa 200 metri dall’asse della valle. Durante il mio breve soggiorno a Tramutola mi fu naturalmente impossibile di raccogliere dati diretti sul regime di questa sorgente, ma mi fu dato di procurarmene degli indiretti; potei però accertare che essa è perenne.

L’acqua che spiccia da questa sorgente contiene delle tracce di cloruro di sodio non rilevabili però ad un semplice esame organolettico. Il petrolio viene emesso in piccole quantità ma in modo continuo sotto la forma di viscide filacciche di color bruno scuro, che sotto l’azione della corrente danno origine a mazzette filamentose, che si raccolgono dovunque un ostacolo diminuisce sensibilmente la velocità dell’acqua che resta allora più o meno ricoperta interamente da un sottile strato iridescente. […]

Tracce di petrolio si sono riscontrate nell’acqua di un pozzo scavato sulla sponda destra presso la Ramiera ed altre ma assai meno importanti scavando alcuni pozzi nel terreno quaternario del Vallone Pietragattara sulla sponda sinistra del rio. Per procurarmi un campione del petrolio della sorgente dovetti circondarla a valle con una piccola diga di pietrame; il petrolio meno denso si raccolse a formare un sottile strato alla parte superiore di questa specie di vasca, mentre l’acqua passava per le fessure lasciate dalla diga.

Questo stesso metodo è usato, dicesi, dai pastori del luogo per procurarsi piccole quantità di petrolio che poi adoperano per medicare le piaghe degli animali.
Questo petrolio, presenta un colore brunastro scuro, con iridescenze azzurrognole, il suo peso specifico si può ritenere poco diverso da 0,9 vale a dire relativamente elevato specialmente di fronte a quello degli altri petrolii italiani (salvo quello di Tocco); tuttavia un giudizio poco favorevole sulle sue proprietà non sarebbe, almeno per ora, pienamente giustificato. […]

Concludendo, parmi quindi possa ritenersi che il giacimento di petrolio di Val Cavolo è racchiuso nei terreni porosi eocenici protetto da strati impermeabili interstratificati o superiori della stessa età e sovrastante ad un’ampia conca triassica. Nei punti dove l’anticlinale protettrice è stata disturbata dagli spuntoni triassici avanti descritti, quivi, come ad esempio alla sorgente Fossitello ed alla Ramiera, si hanno le principali manifestazioni petrolifere in causa dei meati naturalmente prodottisi. In quanto alle debolissime fughe attraverso al quaternario, esse si spiegano facilmente come dovute a piccole soluzioni di continuità degli strati eocenici impermeabili. […]
Riguardo alle circostanze surricordate come necessarie alla esistenza di un giacimento petrolifero in condizioni teoricamente buone, nessuna eccezione sembrerebbe dunque presentarsi per il giacimento di Val Cavolo; potremo noi dire lo stesso da un punto di vista puramente industriale? In altre parole quale potenza e quale estensione si possono supporre per questi strati capaci di accogliere il petrolio in buone condizioni di conservazione?

Un giudizio a questo proposito, per ora di necessità basato soltanto sullo studio del terreno non può naturalmente essere molto preciso; dopo quanto è stato esposto, parmi, tuttavia, possa essere messo con un sufficiente grado di probabilità.

È certo, in fatto, che in Val Cavolo la potenza dell’eocene non è molto importante e quindi nemmeno quella del presunto giacimento, anche ammettendo che possa alquanto approfondirsi verso Nord sotto la piana d’Agri. La zona petrolifera non è certamente molto estesa, ne vi sono le ragioni per credere che estendendo gli studi ai territori finitimi possa venire notevolmente ingrandita. Se a tutto ciò si aggiunge la poca importanza degli indizii, la qualità probabilmente poco soddisfacente del petrolio, senza contare altre difficoltà d’indole puramente commerciale, delle quali non è qui il caso di fermarsi, risulta subito che sarebbe assolutamente fuori luogo il concepire grandi speranze su questo giacimento, come fonte di prosperità per la regione.

D’altra parte, però, nulla permette di escludere che detto giacimento, anche limitato, possa dar luogo ad una coltivazione che pure mantenendosi entro limiti modesti potrebbe dare dei risultati relativamente soddisfacenti pei proprietarii e per gl’imprenditori.

Non occorre però dimenticare che una risposta definitiva a tutti i quesiti che abbiamo toccato non potrà essere data che da un sistema razionale di ricerche le quali in questo caso sarebbero tuttuno con un cominciamento di coltivazione. […]

È noto infatti, che quanto più una perforazione si approfondisce, essa diviene tanto più difficile e lenta e quindi tanto più costosa. Così ad esempio, mentre si può ammettere che nei terreni eocenici della Val Cavolo un pozzo profondo 100 metri importi approssimativamente una spesa di 6.000 lire e 7.500 comprendendovi la tubazione, per una profondità doppia il solo lavoro di escavo già richiederebbe circa 18.000 lire e queste cifre salirebbero ancora più rapidamente per maggiori profondità».

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