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CROTONE – Bisogna aggiungere anche la Dda di Venezia nell’elenco delle Procure di mezza Italia con cui l’ex reggente della cosca di Crotone Luigi Bonaventura sta collaborando. L’elenco – non aggiornato – viene riproposto in una petizione a sostegno del pentito, inviata al premier Renzi e che ha superato le 15.000 firme. Come è noto, il collaboratore di giustizia crotonese denuncia da tempo falle nel sistema di protezione. Intanto, viene sentito dagli inquirenti in giro per l’Italia e ora si aggiunge la Dda veneziana. Uno scenario inedito, dunque, quello che potrebbe aprirsi grazie alle rivelazioni su presunte infiltrazioni delle cosche del Crotonese in Veneto, e nel Veronese in particolare. Bonaventura ha parlato del clan Russelli di Papanice che, stando a dati processuali ormai consolidati, era federato con la cosca Grande Aracri di Cutro. Ha parlato di un pranzo risalente al 2006 e avvenuto in un locale crotonese a cui parteciparono membri della famiglia Russelli e un imprenditore originario di Crotone ma operante in Veneto. 

Intanto, sul web riscuote numerose adesioni la petizione per il pentito che ripercorre la sua vicenda, a partire dal 2001, quando da «braccio armato» del clan Bonaventura viene proclamato reggente della famiglia. Poi la decisione di collaborare con la giustizia e l’inizio di quella che, a dire di Bonaventura, è stata un’ulteriore battaglia: «Insomma sono stato addestrato da piccolissimo a combattere e se si aggiungono pure questi sei anni al fianco dell’Antimafia sono gia 41 anni di guerra, insomma una vita da soldato. Avevo capito poi, che non c’era onore nel rubare il futuro dei propri figli e quindi ho voluto dare ai miei figli una possibilità, quella che io non ho mai avuto, la possibilità di fare nella vita una qualsiasi cosa, dall’operaio al magistrato, al giornalista, all’avvocato, al dottore, all’ingegnere, al poliziotto». 

La petizione denuncia anche che la collaborazione con la giustizia «non ha fatto scattare da parte dello Stato le adeguate contromisure in termini di protezione». «La protezione per me non è mai esistita. La scorta? Mai avuta, tranne quando ho impegni giudiziari». 

Nonostante tutto, il pentito continuerà a collaborare con la giustizia. «Continuo perchè io credo fermamente che è questa la strada giusta per la mia famiglia. Voglio essere un esempio per i miei figli e per tutti quelli che nascono figli di mamma ‘ndrangheta, voglio dimostrare loro che si può cambiare».

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