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di SARA LORUSSO
POTENZA – Mario, gli amici e il difficile addio La madre: «Ragazzi, anche una sola volta, la droga è letale. Non lo fate mai» QUELLO che scopri in quella piccola mansarda di una casa di periferia, è che forse davvero di Mario ha un senso raccontare la storia. I suoi amici sono tutti lì, sui divanetti, tra il computer acceso e i giornali che in questi giorni hanno raccontato la tragedia di quel ragazzo di vent’anni, che «una sciocchezza, una sola, se l’è portato via». E’ morto tre giorni fa, lui che non era tossicodipendente, per una dose di stupefacente. Patrizia, la madre, ti accoglie spezzata dal dolore, ma con una dignità disarmante. Non dorme da due giorni, salvo pochi minuti controllata a vista da Federico. E’ uno degli amici di Mario che da due giorni si sono stretti tutti lì, a cercare di capire, sapendo che di perché non ce n’è abbastanza. Sfogliano arrabbiati le pagine che hanno raccontato dell’accaduto, le fotografie dei compleanni passati. «Questa l’abbiamo scattata quindici giorni fa. La torta l’avevamo fatta in casa. Le sembriamo una comitiva pericolosa, le sembra un ragazzo sballato?». No che non lo sono. Hanno facce pulite e magliette normali questi ragazzi che hanno perso un amico, anzi di più. «Non solo Ermete, il fratello più grande, ed Elia, il gemello di Mario, hanno perso un fratello». Ma allora, che cosa è accaduto? «Ma come faccio a spiegarlo, ci sbatto la testa da due giorni». Patrizia è in mezzo a loro e trova pure la forza di consolarli, di capire, di calmare. «Non sto dicendo che non è successo nulla, dico solo che non era mai accaduto, e che se c’è solo una cosa da dire, ragazzi, badate bene, non pensate che una sola volta possa andare. Non pensate che non essere tossicodipendenti vi preservi. Anche una volta, una volta sola, può essere letale». A Mario, provano a spiegare stringendo tra le mani quelle fotografie, che adesso lo fanno apparire anche più bello di quanto già non fosse, è accaduto così. Sono arrabbiati, scalpitano, «non è questo il ritratto di Mario. Ma quale drogato. Era un atleta, un compagnone». Per questo la chiesa di Rossellino, dove ieri pomeriggio una comunità intera gli ha detto addio, era gremita così di ragazzi. Tutti dalle facce pulite. Ma che è accaduto, allora? Elia è duro, si arrabbia, e si vede che dentro è a pezzi. Poi recupera un po’ di calma e racconta, ricostruisce. Mario invitato da un altro ragazzo («che però non fa parte della nostra comitiva abituale»), con un sms a uscire dopo cena. Una sorpresa. Mario che qualche ora dopo invia un messaggino per dire che dorme fuori. Mario trovato senza vita proprio da Elia, che a ora di pranzo è stato chiamato dalla ragazza che era con il fratello. Non respira, non respira, venite. Ed Elia è andato lì, a Chianchetta, in rione Lucania, nella casa di famiglia che stavano ristrutturando. Un altro ragazzo, che secondo la prime ricostruzioni era con Mario e la ragazza la sera precedente, se ne era andato via. Arrivato, è stato Elia a chiamare i soccorsi. «Hanno detto ci fosse un festino. Non pensate che i vicini se ne sarebbero accorti, che si sarebbero lamentati per il rumore?». Poi l’ospedale, le indagini, l’autopsia e un dolore immenso che passa da uno sguardo all’altro di questi ragazzi, persi tra i ricordi e l’incredulità. «Se stiamo così male è proprio perché non ci avremmo mai pensato. Se ci fossimo aspettati la droga nella vita di Mario, forse ce ne saremmo fatti una ragione. Invece è stata una volta, una volta sola». Fatale. E ti domandi perchè. Ti senti piccolo in quella mansarda di una villetta di contrada, dove la dignità del dolore ferisce dritta allo stomaco più del dolore stesso. Quanto è forte mamma Patrizia – almeno è questo quello che sembra – lo fa per loro, per quei ragazzi, per Elia, perché «sono bravi ragazzi. Non possono pagare così». E la città lo deve sapere, lo deve sapere che «la tentazione è dietro l’angolo, che capita più spesso di quanto si creda», dicono loro. Se anche solo una volta si dice sì, il rischio è quello di una roulette. «Per favore lo scriva, ditelo ai ragazzi. Anche solo una volta, può essere l’ultima». Quanto è forte Patrizia, cede solo un momento, racconta dei suoi figli, del nonno, degli agenti che martedì, poco dopo l’ora di pranzo hanno provato a stare loro accanto. Sono in attesa, le indagini vanno avanti, si attendono i risultati dell’autopsia. Ma adesso conta altro. Conta la voglia di raccontare un ragazzo che da tre mesi era tornato a Potenza. «Studiava sociologia a Roma, alla Sapienza. Nuotava, in un circolo della capitale. Lo sa che li avevo fatti tornare a Potenza i miei figli, perché Roma mi sembrava diventata troppo pericolosa?». E invece è qui, in questa città di provincia che se ne è andato via. «Una volta, anche una volta sola, non lo fate, per favore». Lo ripete più e più volte. Ecco cosa conta. Conta la mano di una madre passata su una foto vecchia di qualche anno, appesa nel corridoio. Ti accompagna all’ingresso e ha il coraggio di dire grazie. Spezzata e ferita, è contenta di aver potuto provare a raccontare quello che Mario era davvero. Allora, grazie a lei.

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