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Un blitz, ma non troppo. La visita di Marchionne alla Sata di Melfi era quasi scontata. Prevedibile come il Quotidiano aveva scritto pubblicando un pezzo qualche giorno fa. Conoscendo un po’ le dinamiche industriali abbastanza ricorrenti, l’amministratore delegato, alla vigilia della nuova produzione (in realtà la Renegade è già prodotta in pre serie), sarebbe sicuramente venuto di persona in fabbrica come ha fatto altre volte. A nessuno è stato consentito di entrare all’interno dello stabilimento. Non era una visita istituzionale. E Marchionne non è un’istituzione, ma un manager privato, tra l’altro anche fuori da Confindustria. Pare che il governatore sia stato a lungo incerto se andare o no a Melfi. Poi ha deciso di no. Forse ha perso un’occasione. Ha perso l’occasione di rompere schemi e rituali, sovvertire protocolli e cerimoniali. La rivoluzione è anche questo. Imporsi come territorio che guarda agli obiettivi, che è disposto a creare contesto di rapporti prima che di investimenti, che si identifica in un presidente che dimostra ogni giorno di essere un dreamer indocile. Insomma un’occasione per sfidare l’ovvio, dire ai lucani che lavorano alla Sata: io ci sono e faccio la mia parte perchè quest’azienda scelga con consapevolezza che qui si può produrre meglio che altrove. E cosa avrebbe potuto fare l’uomo col maglione blu se il governatore si fosse presentato in fabbrica? O si parlavano, come Pittella si era augurato affermando di volerlo incontrare, o avremmo avuto noi giornalisti una bella occasione per sottolineare l’inurbanità del manager. Non sarebbe successo. Perchè la filosofia del manager, è abbastanza risaputo, è quella di sorprendere, di rovesciare i tavoli. Insomma, sarebbe stata una bella gara. Peccato.

l.serino@luedi.it

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