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POTENZA – Per l’accusa è diventato una prova fondamentale. Quell’audio rimbalzato su internet e televisioni in cui uno dei tre medici alla sbarra confessa di aver lasciato «ammazzare» la paziente dai colleghi sotto i suoi occhi. Ma se non verrà dimostrato chi lo ha registrato potrebbe essere espulso dal processo già nelle prossime udienze. Per questo la procura ha deciso di convocare in aula anche il suo presunto autore.
Rischia di partire “azzoppato” il processo per la morte di Elisa Presta, la 71enne calabrese, che il 28 maggio del 2013 era venuta a Potenza per sottoporsi a un intervento di sostituzione di valvole aortiche all’ospedale San Carlo.
Ieri mattina si è svolta la prima udienza e non sono mancati gli spunti polemici tra il pm Annagloria Piccininni e alcune delle difese, che hanno provato ad annullare il decreto di giudizio immediato nei confronti dei loro assistiti, subito dopo la costituzione come parti civili dei familiari di Elisa Presta. Grandi assenti, invece, l’azienda ospedaliera San Carlo e la Regione, che hanno rinunciato alla richiesta di un risarcimento per i danni d’immagine subiti. Ferma restando la possibilità di rivalersi in un successivo giudizio civile.
La discussione si è accesa di nuovo quando si è passati all’indicazione delle fonti di prova e dei testimoni, non appena il pm ha citato quegli audio shock registrati di nascosto e diffusi online alla fine di agosto, che hanno attirato sul caso l’attenzione dei principali media nazionali.
Il pm che ha coordinato le indagini, in stretto raccordo col procuratore capo Luigi Gay, ha indicato tra le persone da sentire anche il loro presunto autore. Un cardiochirurgo, Fausto Saponara, da tempo in contrasto con i vertici dell’ospedale e di recente riconosciuto come vittima di mobbing da parte dei suoi superiori.
Saponara ha sempre negato di essere lui l’uomo col registratore che si aggirava nel reparto, e anche il Riesame ha messo in dubbio la sua identificazione, evidenziando la necessità di sentirlo a riguardo per «contestualizzare il colloquio e riferire della eventuale presenza antecedente o contemporanea di terzi». D’altra parte ha raccontato di aver sottoposto più volte il caso al management del San Carlo, e persino al vertice della Regione, senza mai ricevere nessuna risposta.

Eppure a dicembre proprio a causa di quelle registrazioni è arrivato il licenziamento per lui e Cavone da parte del consiglio di disciplina del maggiore nosocomio lucano, motivato con i danni d’immagine provocati all’azienda.

Stando a quanto riporta la lista dei testimoni depositata dal pm, Saponara dovrà presentarsi in aula con un avvocato, in quanto indagato in un procedimento connesso a quello a carico dei tre colleghi. Un’iscrizione venuta alla luce solo adesso su cui il giudice, Lucio Setola, ha chiesto delucidazioni alla prossima udienza per valutare il da farsi. In quanto indagato, infatti, Saponara potrebbe decidere anche di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Dopo il pm hanno preso la parola le difese, a partire da quella di Cavone, presente in aula e rappresentato dall’avvocato Donatello Cimadomo, che ha denunciato la manipolazione delle registrazioni, e ha insistito per la loro inutilizzabilità, nel caso in cui non si riuscisse ad attribuirne la paternità, in quanto si tratterebbe di intercettazioni illegali in un luogo di privata dimora.
Dello stesso avviso anche l’avvocato Michele Laforgia, che assieme a Francesco Auletta assiste il professor Marraudino.
«Nessuno ha consegnato quegli audio al pubblico ministero, ma sono stati sequestrati a un giornalista che non ha voluto rivelare la sua fonte». Ha sottolineato. «Quindi siamo di fronte a un documento anonimo come anonimo è l’esposto che ha fatto partire le indagini su questa vicenda, e come tale non può essere acquisito».
L’udienza è stata rinviata all’11 marzo per decidere sull’ammissibilità degli audio e l’inizio delle testimonianze, con le deposizioni degli agenti della mobile di Potenza che hanno effettuato le indagini.
Il capo d’imputazione nei confronti dei 3 cardiochirurghi parla di omicidio colposo in concorso, perché «nonostante l’avvenuto decesso della Presta», a causa della lesione di una vena durante l’apertura dello sterno e di un maldestro tentativo di ripararla, «l’intervento veniva continuato e portato a termine, con l’inutile e programmata sostituzione della valvola e il successivo trasferimento del paziente già morto in terapia intensiva».
Una messinscena – secondo gli inquirenti – necessaria per «alterare quanto realmente accaduto». Per questo Marraudino, che «sarebbe stato considerato direttamente responsabile dell’accaduto (…) anche in una prospettiva di eventuali richieste risarcitorie», è accusato anche di falso in atto pubblico.
La morte di Elisa Presta era finita sotto la lente degli investigatori dopo un dettagliato esposto anonimo recapitato in Procura nell’autunno del 2013. L’ultimo di una lunga serie ambientato nei corridoi della cardiochirurgia del San Carlo, dove i veleni accompagnano ciclicamente l’avvicendarsi dei primari “esterni” e le ambizioni frustrate degli altri.

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