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RENDE – «Franco era una persona perbene. Erano una famiglia affiatata e tranquilla». Sono parole queste che a 48 ore dalla tragedia che ha scosso la frazione di Arcavacata di Rende risuonano come un paradosso ed alimentano lo sgomento, l’incredulità e un dolore che come un macigno si è abbattuto su quanti conoscevano Francesco De Vito e la moglie, Fiorella Maugeri. Una tragedia (LEGGI LA NOTIZIA DELL’OMICIDIO-SUICIDIO) che ha colpito tutta la comunità, ancora sotto shock, per l’omicidio-suicidio che, domenica scorsa, ha scosso la quiete in contrada Longeni e distrutto, in pochissimi attimi di follia, una famiglia conosciuta e stimata da tutti, persone straordinarie e amici di molti, lui originario del posto, lei siciliana. 

Un dramma privato, innescato dalla delusione per un amore finito, epilogo al quale De Vita, evidentemente, non si rassegnava. Sarebbe questo il male oscuro che, domenica pomeriggio, ha armato la sua mano, di rientro dal posto di lavoro. Intorno alle 17,30 lui e sua moglie hanno iniziato a discutere. In quel momento, in casa c’era solo la figlia adolescente, che si trovava al piano di sopra. Ne era ridiscesa poiché attirata dalle urla, ma con un ultimo gesto di tenerezza, sua madre l’aveva rispedita nella sua stanzetta. La sventurata Fiorella non poteva immaginare che, ben presto, quella discussione sarebbe degenerata in modo irreversibile. Il rapporto con Franco era in crisi, i due probabilmente erano sull’orlo della separazione, ma di una cosa, almeno, Fiorella Maugeri era certa: che quell’uomo non le avrebbe torto neanche un capello. Franco De Vita non era un violento. I colleghi lo ricordano come un carabiniere scrupoloso, ligio al dovere, inappuntabile sul lavoro. Con sua moglie non era mai stato violento. Liti sì, condite anche da urla e imprecazioni, ma sempre senza conseguenze. Forse Fiorella pensava che, anche stavolta, sarebbe finità lì, ma si sbagliava. L’imprevedibilità del male ha voluto che suo marito, pur essendo armato di pistola, la uccidesse a coltellate. Un particolare che dimostra, qualora ve ne fosse bisogno, l’estemporaneità di un delitto non certo premeditato. La pistola, infatti, Franco l’ha poi usata contro se stesso, una volta resosi conto di quello che aveva fatto. Un doppio schianto, poi solo strazio.

«Nessuno di noi poteva immaginare quello che è successo – dichiara il cugino di De Vito – Franco era un grande lavoratore, una persona perbene. Un padre e un marito esemplare. Fiorella una ragazza a modo». Ed ancora, con la voce spezzata dal dolore, il parente ha continuato: «Bravi, bravissimi ragazzi. Siamo tutti affranti. Se pur vicini di casa non abbiamo sentito nulla. Pensare che si stava consumando il dramma in quelle ore ci lascia distrutti dalla sofferenza». Altri conoscenti della coppia si uniscono anche nel ricordo dei due: «Partecipiamo tutti al dolore per questa grave perdita che la comunità subisce. Una coppia affiatata, gentili e disponibili con tutti. Si erano trasferiti da circa 5 anni definitivamente sul territorio rendese. Adesso ogni persona, ogni famiglia di Arcavacata piange la morte di Franco e Fiorella». Testimonianze che certo non preannunciano alcuna tragedia, eppure quella storia d’amore durata 20 anni, quella apparente tranquillità familiare, quelle liti passate per screzi “normali”, nascondevano il retroscena di un’immane dramma che ha distrutto una giovane famiglia e fatto cadere nel baratro del dolore più straziante le famiglie di entrambi che improvvisamente, una tranquilla domenica di maggio, si sono visti piombare un “macigno”, come questo.

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