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Una missiva indirizzata al primo cittadino, Elisabetta Tripodi (in foto) e consegnata al Comune due giorni fa. La firma è di Rocco Pesce, detenuto a vita nel carcere di Opera a Milano ed esponente dell’omonimo clan. Il sindaco, ricevuta la lettera, spedita da Milano a mezzo raccomandata, si è subito recata ad esporre quanto accaduto alla Tenenza dei carabinieri, i quali hanno immediatamente provveduto al sequestro del documento.
Rocco Pesce scrive all’amministrazione comunale per lamentarsi della scelta dell’attuale amministrazione comunale di costituirsi parte civile nei processi contro la sua famiglia (in particolare nell’operazione “All Inside”). L’ergastolano, quindi, si duole dello sgombero, avvenuto di recente, di un immobile occupato da sua madre e da suo fratello. Fatte queste premesse, Pesce, però, arriva a sostenere di essersi permesso di scrivere all’indirizzo di Elisabetta Tripodi in maniera «confidenziale», perché, aggiunge, lui e la sua famiglia hanno sempre manifestato «stima nei confronti del sindaco, soprattutto il giorno delle elezioni amministrative dove lei è stata eletta per la sua serietà e personalità che gode di ottima etica professionale». In merito alla costituzione di parte civile del Comune nei processi contro i Pesce, il detenuto lamenta che «nessuno della sua famiglia ha mai recato azioni penalizzanti a danno delle istituzioni e dei cittadini di Rosarno». Sugli sgomberi delle case occupate da esponenti del clan, Rocco Pesce fa osservare al sindaco Tripodi: «lei sa benissimo, sulla base di informazioni tecniche in materia di urbanistica che statisticamente almeno il 50% dei fabbricati attualmente esistenti post ‘67 nel Comune di Rosarno sono abusivi. A me non sembra siano stati presi gli stessi provvedimenti nei loro confronti, non perché io lo desideri». Nelle battute finali, Pesce scocca una stoccata al vetriolo, ricordando alla Tripodi: «Lei non può ricordare perché troppo giovane, ma io e la mia famiglia eravamo soliti godere della reciproca compagnia con i suoi più stretti familiari, in occasione dei consueti aperitivi in corso Garibaldi dove, a memoria, ricordo piacevoli e cordiali scambi costruttivi di opinioni. Mi viene in mente un detto senza alcuna allusione – conclude lo scrivente – che ogni persona ha i propri scheletri nell’armadio e converrà con me che l’estremo perbenismo è solo ipocrisia». Attualmente sono in corso indagini per accertare l’autenticità della lettera. Nel frattempo, l’amministrazione ha convocato per martedì prossimo un consiglio comunale ad hoc sulla missiva in questione.

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