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REGGIO CALABRIA – Il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha chiesto l’assunzione della documentazione presentata dall’avvocato Fiorella Megale, legale di fiducia del Comune di Reggio Calabria, nel corso dell’udienza “Meta”, sostenendo il controesame del colonnello dei carabinieri Valerio Giardina, nell’ambito del processo “Meta”, in cui il Comune si è costituito parte civile. Il pm Lombardo ha affermato di voler valutare se possano esistere condotte che giustifichino una contestazione di falso ideologico. L’argomento è, ancora una volta, l’immobile di cinque piani ubicato in via Mercatello ad Archi, confiscato alla potente cosca Condello, ma rimasto nella disponibilità della famiglia per diversi anni.

Un vero e proprio colpo di scena nell’udienza in cui è iniziato il controesame del Colonnello Giardina, che per circa venti udienze aveva risposto alle domande del pm Lombardo. Prima dell’intervento degli avvocati difensori, infatti, la parola era toccata alle varie parti civili, tra cui il Comune di Reggio Calabria, con l’avvocato Megale che ha sollecitato Giardina sulla vicenda dell’immobile sequestrato ai Condello. 

L’avvocato Megale ha esibito un documento proveniente da Palazzo San Giorgio in cui veniva attestato, nel 2006, lo sgombero dell’immobile storico del clan Condello, nel cuore del rione Archi. Date che, però, stando alle carte di Giardina, non corrisponderebbero, visto che la reale assegnazione del bene confiscato risalirebbe al non lontano 2010.

Per questo il documento prodotto dall’avvocato Megale verrà acquisito dalla Procura della Repubblica, al fine di valutare se esista o meno la possibilità che sia stato commesso un reato. Quello di falso ideologico, nella fattispecie, da parte di chi ha firmato e “vistato” il documento (probabilmente i vertici e i membri della Polizia Municipale). Perché le carte fornite dal Comune sarebbero discordanti dagli accertamenti in mano agli investigatori.

I carabinieri l’avevano definita “il fortino”. Un’abitazione storica, inespugnabile per chi, come il Ros di Reggio Calabria, voleva svolgere indagini al fine di catturare Pasquale Condello, il “Supremo”, arrestato poi il 18 febbraio 2008 a Pellaro. Un immobile confiscato nel 1997, ma tolto dalla disponibilità della potente famiglia di ‘ndrangheta solo diversi anni dopo. Già a ottobre Giardina aveva parlato di di «momenti oscuri» nella gestione del bene confiscato, ancora in possesso della cosca: «Un luogo da cui partivano tutti i movimenti dei fiancheggiatori di Pasquale Condello» disse in aula l’ex comandante del Ros, al cospetto del Tribunale presieduto da Silvana Grasso. Come è scritto in un’informativa del Raggruppamento Operativo Speciale l’immobile «destinato  in data 17.09.2001 e consegnato il 28.11.2001 dall’Agenzia del Demanio di Reggio Calabria al Comune di Reggio Calabria, era ancora nella piena disponibilità del nucleo familiare del Condello, nonché di alcuni altri suoi congiunti». 

Dal 2001 al 2006, la famiglia Condello avrebbe abitato un immobile assegnato dallo Stato al Comune di Reggio Calabria. Nessun contratto di locazione, nessun comodato d’uso gratuito. Solo quella che Giardina definì «inerzia» da parte dell’Amministrazione Comunale, guidata dal sindaco Scopelliti.

Prima dell’inizio del controesame, l’avvocato Carmine Ielo, in difesa del boss Peppe De Stefano, ha sollevato un’eccezione di nullità rispetto all’interrogatorio sostenuto da Giardina, che ha letto intercettazioni telefoniche ancora non trascritte dal perito. Poi la parola è passata agli avvocati Antonio Marra, Giorgio Vizzari, Emanuele Genovese e Davide Barillà, che hanno interrogato Giardina in riferimento alle posizioni dei loro assistiti: da Giovanni Rugolino a Rocco Palermo, passando per Umberto Francesco Creazzo. Il prosieguo del controesame di Giardina, che verosimilmente impegnerà diverse udienze, è stato rinviato al prossimo venerdì.

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