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di LUCIA SERINO
E alla fine, come sempre, la colpa è dei giornali. Il presidente De
Filippo, per penna del suo portavoce Grasso, non accetta quello che
considera un ultimatum a mezzo stampa dell’assessore Pace: è
disinformazione (sarà disinformazione anche continuare a porre domande
sull’eolico alle quali sdegnosamente non si risponde?). Sarà
disinformazione anche oggi che annunciamo le dimissioni dell’assessore
Messina? Le dimissioni non sempre sono una minaccia. Possono anche
essere una resa. E la resa è quella che si sente, forte, al Comune di
Potenza. Come questo giornale ha scritto nei giorni scorsi il problema
dei servizi a rischio nel capoluogo di regione debbono essere visti
superando la logica del “tu mi dai e quanto mi dai, e io sono esente e
io non voglio pagare”. Lasciamo stare i problemi di corrente politica
che pure ci sono, è a tutti chiaro, ormai, che il Comune di Potenza non
ha un cent ed è altrettanto chiaro che la Regione non è il pozzo di San
Patrizio. Quello che non va in tutta questa storia (esattamente come è
successo l’anno scorso, il che la rende ancora più insopportabile) è il
senso dell’attesa – tempo indefinito e sospeso – rispetto a un
meccanismo che è già partito, la scuola, per esempio. E non va
l’atteggiamento fortemente ostativo nei confronti
dell’auto-iniziativa.
Siamo davanti a un salto di cultura. Non è tempo di solidarietà, ma di
nuovi egoismi che poi produrranno altra solidarietà. Bisogna fare il
percorso inverso. La solidarietà sociale questa amministrazione pubblica
non è più in grado di garantirla, allora facciamo in proprio, ci rimette
chi ci rimette, i più poveri, i deboli, quelli che erano esentati. A
Potenza non ci sono servizi per le famiglie, dunque non ci sono servizi
per i bambini e per le donne. Si arrangi chi non può permettersi la
filippina o pagarsi un autista. A volte, però, dove manca il regolatore
della solidarietà pubblica, nasce quello spontaneo tra gli uomini e le
donne, come in Germania da anni esiste il tagesmutter. Vogliamo
percorrere queste nuove vie spontanee, e per questo non apprezziamo
l’atteggiamento del sindaco di Potenza che è visibilmente snobbato da
De
Filippo, e che a sua volta snobba i genitori organizzati frapponendo
problemi di autorizzazioni sanitarie (pensate: alla Domiziano Viola
un’associazione garantisce i pasti a una ventina di bambini e nessuno
dice niente, se i bambini diventano duecento ah no, arrivano i Nas), o
non svincolando le scuole private dalle decisioni dell’amministrazione.
Ma non è apprezzabile neppure il presidente della Regione che finge di
non rendersi conto che la crisi del capoluogo è un peso che grava su
tutta la collettività lucana. Qual è il ruolo della Regione, quello di
programmare? Bene quale modello di welfare, quale modello di servizi
offre ai cittadini di Potenza, dunque ai cittadini lucani? Da oggi in
poi quando De Filippo parlerà di famiglie, sarà come la Carfagna quando
parla delle donne. Quale consapevolezza avranno avuto i bambini portati
a festeggiare l’acqua del rubinetto, se poi quegli stessi bambini non
possono andare a scuola, perché abitano in contrade non collegate, non
possono pranzare ma devono arrangiarsi con pane e mortadella tutti i
giorni? Per fortuna se si sentono male abbiamo l’accordo con il Bambino
Gesù. Ci auguriamo che la Regione non dia neppure un centesimo al Comune
di Potenza: sarebbe un accanimento terapeutico. Solo distruggendo tutto, ma proprio tutto, si può ricostruire.

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