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RENDE – Bocche cucite e telefonini spenti. Impossibile è stato ieri sapere qualche cosa di ufficiale sulla importante riunione della Commissione provinciale di controllo, che nella mattinata si è riunita in Prefettura per decidere sullo scottante “Caso Rende”. I membri hanno preso visione della relazione della Commissione d’accesso antimafia, che si era insediata al Comune di Rende dopo i clamorosi arresti dell’ex sindaco Umberto Bernaudo e dell’ex assessore Pietro Ruffolo. A Palazzo di Città è rimasta per sei mesi, dal novembre 2012 allo scorso mese di maggio, acquisendo atti e sentendo diverse persone, tra cui molti politici. Quindi la compilazione della relazione, ieri studiata a fondo dalla Commissione provinciale. I suoi componenti si sono presentati in Prefettura intorno alle 10.30. Li aveva convocati il prefetto in persona, Raffaele Cannizzaro, membro della Commissione insieme al sindaco del Comune capoluogo, Mario Occhiuto, al presidente della Provincia, Mario Oliverio, e al comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, il colonnello Francesco Ferace. C’era anche il procuratore capo della Procura di Cosenza, Dario Granieri. Si sono confrontati con Cannizzaro e ognuno ha espresso il proprio parere in merito alla necessità, o meno, di sciogliere il Comune di Rende per mafia e quindi commissariarlo. Il responso sarà inviato dal prefetto al ministro dell’Interno, Angiolino Alfano, che si determinerà di conseguenza. L’impressione è che, malgrado le bocche cucite e i telefonini spenti, ci vorranno ancora alcuni giorni per avere la decisione ufficiale. Cannizzaro pare abbia inteso temporeggiare. La questione, del resto, è troppo delicata per decidere in tempi brevi. La Commissione d’accesso antimafia, ricordiamo, si era insediata verso la fine di novembre, pochi giorni dopo gli arresti di Bernaudo, Ruffolo e di Michele Di Puppo, quest’ultimo presunto esponente di spicco del clan capeggiato da Ettore Lanzino. I due politici furono costretti ai domiciliari. A Di Puppo l’ordinanza fu notificata direttamente in carcere, dove si trovava per altre vicende. L’ipotesi sostenuta della Dda è che Di Puppo si sia attivato nel procacciare a Bernaudo e Ruffolo i voti per le Provinciali del 2009. L’ex sindaco e l’ex assessore si sarebbero poi sdebitati mantenendo in vita la “Rende servizi srl”, società in house del Comune al cui interno lavorerebbero molte persone ritenute vicine a Lanzino. Ipotesi che però non hanno retto dinanzi al gip (che ha accusato i tre solo di corruzione semplice, senza dunque l’aggravante e il metodo mafioso), al Tdl (che li ha rimessi in libertà) e alla Cassazione (coi supremi giudici che hanno respinto i relativi ricorsi della Distrettuale antimafia di Catanzaro). Interessante sarà a tal proposito scoprire fino a che punto tali decisioni hanno influenzato la Commissione d’accesso antimafia. Una curiosità: il 16 novembre, un giorno dopo gli arresti dei due politici, a Rende i carabinieri misero fine alla latitanza di Ettore Lanzino, nome che compare con una certa insistenza nelle carte del “Caso Rende”. Era ricercato da ben quattro anni. Fu trovato in un appartamento di via Adige. Con lui c’era Umberto Di Puppo, fratello di Michele…

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