X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

 

POTENZA – «La devi dire a me tutta la verità» gli ha urlato la madre di Elisa dal pubblico. «Non ho mai saputo nulla. Questa è l’unica verità e sfido chiunque a dimostrare il contrario», le ha risposto il vescovo, tuonando dalla sedia riservata ai testimoni.

Potrebbe stare tutto in questo scambio di battute il senso dell’udienza di ieri mattina nel processo sulle bugie che ancora avvolgono il ritrovamento del corpo di Elisa Claps. Sul banco degli imputati c’erano sempre le due donne delle pulizie, Annalisa Lovito e la madre Margherita Santarsiero, che continuano a negare di aver scoperto il segreto della tempio di via Pretoria prima del 17 marzo 2010. Ma ieri è come se ci fosse stato anche Agostino Superbo, oltre a tutta la chiesa di Potenza, e alla fine il pm Laura Triassi si è riservata di acquisire gli atti «all’esito delle altre deposizioni» per valutare un’incriminanzione per falsa testimonianza nei suoi confronti.

Il vescovo è arrivato in aula verso mezzogiorno da una stanzina riservata alle forze dell’ordine, dov’è rimasto ad aspettare più di tre ore prima di essere chiamato dal giudice Marina Rizzo per riferire quanto sapeva. Un cordone di carabinieri e agenti della Ronda ha evitato il contatto con i giornalisti e la madre di Elisa, e così se n’è andato, sbeffeggiato dalla stessa Filomena Iemma che in aula lo aveva provocato in almeno un paio di occasioni, con l’alone del sospetto addosso.

Durante l’interrogatorio il pm Laura Triassi non aveva fatto sconti al sacerdote, ricordandogli varie volte l’obbligo di dire la verità di fronte ai passaggi più inverosimili del suo racconto. Ad esempio la rivelazione ricevuta dal vice parroco della Trinità, Don Vagno Oliveira e Silva il giorno dopo la scoperta ufficiale del corpo di Elisa, a proposito di quanto sarebbe accaduto qualche settimana prima, quando lui e le donne delle pulizie si erano accorti di cosa c’era lassù ma non ne avevano fatto parola con nessuno.

Superbo ha risposto per 3 ore alle domande della Procura, dell’avvocato della famiglia Claps e di quello delle due donne delle pulizie. Ma non ha ceduto di un passo ribadendo di aver compreso una cosa per un’altra in quei momenti concitati davanti alla chiesa mentre la polizia sequestrava tutto per ordine del gip di Salerno. Ha spiegato di aver capito che un  «ucraino» aveva gettato della «spazzatura» dalla chiesa, e che Don Vagno fosse preoccupato di cosa era stato portato via dal sottotetto. Soltanto il giorno dopo il giovane sacerdote brasiliano gli avrebbe chiarito che intendeva un «cranio», quello di Elisa, intravisto tempo prima in mezzo a della «spazzatura», che altro non sarebbero stati che i suoi poveri resti. Don Vagno gli avrebbe anche ricordato una telefonata che gli fece «a gennaio» mentre si trovava «fuori Potenza» per chiedergli un incontro per parlare di quella cosa, senza dirgli di che si trattava. Un incontro che in realtà non si sarebbe mai tenuto prima del 17 marzo a causa di una brutta influenza che ha colpito il viceparroco.

Incalzato dal pm Superbo ha ammesso di aver parlato di «gennaio» perché Don Vagno gli aveva indicato quella data, e in seguito della fine di «febbraio» sempre su sua indicazione, quando ha trovato lo scontrino di alcune medicine acquistate in farmacia («L’ho spiegato anche ai magistrati di Salerno, se non risulta dal verbale sarà perché non l’avranno ritenuto opportuno»). Ma non ha saputo replicare all’avvocato Maria Bamundo, che assiste le 2 donne delle pulizie, e gli ha fatto notare che nei tabulati telefonici manca traccia di contatti tra loro due a parte alcuni agli «inizi di febbraio».

Rispondendo all’avvocato della famiglia Claps Luciana Scarpetta il vescovo ha spiegato che «la cosa» da «far vedere» a un avvocato a cui faceva riferimento Don Vagno in un’intercettazione telefonica con lui era una «relazione» con la versione dei fatti del sacerdote, di cui il vescovo era a conoscenza. Rispetto infine alle testimonianze degli operai intervenuti per riparare una perdita d’acqua che hanno dato l’allarme, Superbo ha negato di essere salito nella terrazza della canonica da cui si accede al sottotetto 

La prossima udienza è stata fissata per l’8 luglio quando verranno ascoltati l’ultimo degli operai saliti nel sottotetto che poi hanno avvisato la polizia della presenza del corpo, due sacerdoti, don Cesare Covino e  don Dino Lasalvia, più Raffaella Palladino, che il giorno del ritrovamento ufficiale del corpo avrebbe raccolto la “confessione” di una delle due donne delle pulizie su alcuni dettagli che solo chi era già stato in quel sottotetto poteva conoscere.

l.amato@luedi.it

 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE