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POTENZA – Va via, dopo una mattinata di assemblea generale dei quadri e dei delegati Cgil, tra le bandiere rosse al vento sistemate lungo il tragitto e il lungo applauso della platea del Don Bosco, lasciando un interrogativo, più che una risposta: siamo davvero sicuri di sapere dove stiamo andando? Perché, per Susanna Camusso, il nodo centrale è questo: «Alla politica manca una visione del Paese». Stessa questione che in apertura dei lavori, Angelo Summa – per la prima volta le siede accanto da segretario del sindacato lucano – ha sollevato rispetto alla regione.
Ma di fronte a chi alimenta le divisioni, funzionali all’ascesa di «uomini soli al comando», non ci può essere «rassegnazione», bensì la voce corale di un sindacato che «unito» può e deve cambiare le cose.
«Solidarietà» in una nazione che non affronta più il tema delle disuguaglianze, «lavoro» mai più inteso come merce di scambio con i diritti, «sviluppo» sostenuto da un progetto reale che sappia puntare coraggiosamente su ricerca e innovazione. E soprattutto unità: tra i lavoratori, i sindacati e del Paese. «Perché – spiega la leader nazionale della Cgil dal palco del teatro potentino, allestito di tutto punto per l’occasione – in Italia manca attenzione per le regioni del Mezzogiorno ormai da troppo tempo. E questo ha contribuito alla formazione di una classe dirigente di indubbio scadimento rispetto al tema di come risollevare questa parte del Paese». In un’epoca in cui anche il sindacato ha perso capacità di incidere, Camusso, la prima donna a capo di un’organizzazione confederale, appassiona e convince.
Descrive quel Paese che non ha più il coraggio di affrontare il tema della disuguaglianza, nonostante il sostanziale peggioramento delle condizioni di vita di molti: dal diritto alla studio (la lavagna alle spalle recita un “viva la squola”, scritto in maniera volutamente sgrammaticata), diventato quasi un privilegio per i figli delle famiglie tartassate dalla crisi. Ai problemi dei pensionati, archiviati all’unica questione delle pensioni d’oro. Ai lavoratori che, nello stesso luogo, godono di diritti diversi. Al «Sud dimenticato». La ricetta non può che essere: «Non più un governo di soli proclami. Bisogna tornare e a mettere al centro le cose che si vogliono fare. Soprattutto occorre una grande svolta di politica economica».
Se nessuno più indica quell’orizzonte verso il quale portare il Paese, servono «investimenti, scelte per creare posti di lavoro dignitosi, liberi, di qualità per i tanti disoccupati». Il presupposto secondo cui basta lasciare libertà alle imprese per far spuntare posti come funghi «è sbagliato». Occorre dare «una direzione pubblica e politica degli investimenti». E se la crisi, la disoccupazione non hanno fatto che aumentare le disuguaglianze, «bisogna dire basta all’idea di un mondo indistinto in cui sono tutti uguali: le ricette non possono essere le stesse per posizioni diverse». Ecco perché la soluzione non può essere un generico “tagliare le tasse” senza un criterio progressivo. Non si può non considerare che il 2 per cento delle famiglie si è arricchito in questi anni di crisi. E ora chi lo ha fatto «dovrebbe essere disposto a dare qualcosa per ricostruire le condizioni». Non si faccia della patrimoniale un tema ideologico. Non si può pensare che il problema del lavoro «sia solo una questione di offerta». Sulla riforma della pubblica amministrazione, Camusso insiste: «Siamo pronti, ma se ne faccia una e fatta bene. Non come quella delle Province. E poi l’unica cosa certa fino a questo momento è che i dirigenti saranno più nominati dalla politica che per competenze professionali». Il segretario attacca soprattutto quel tentativo di innescare guerre tra poveri su tutti i luoghi di lavoro. «No ai tagli indiscriminati alle politiche del welfare». E, per stare ai fatti di casa nostra, sulla misura del reddito minimo d’inserimento concordata da Regione e sindacati dice: «C’è tanto ritardo tanto da far credere che l’accordo non sia accompagnato da una chiara volontà politica». Poi, il Jobs Act. «Non si può pensare di rimettere in moto la macchina con la legge delega sul lavoro, anche se la chiami con un termine pomposo inglese». Per Camusso, i numeri parlano chiaro. E’ la quarta volta che si fa una grande riforma del mercato del lavoro, dalla quale si attendono chissà quali risultati che poi non arrivano». Il contratto a tutela crescente «crea ulteriori differenza tra i lavoratori nello stesso luogo di lavoro». Ma non c’è spazio per pensare di arrendersi. Quindi l’appello agli altri sindacati: a cosa serve continuare ad alimentare le divisioni? Ma l’unità non può essere costruita – e il riferimento è chiaramente alla vicenda Fiat – rinfacciando chi aveva ragione o meno qualche anno fa. «Anche perché il rilancio del gruppo non credo sia dovuto tanto alla piattaforma sindacale, quanto al sostegno che Fca ha avuto negli Usa». Lo stabilimento di Melfi «è straordinariamente importante. E deve essere la scommessa per il futuro di questa regione. A patto che sia un futuro di qualità, non dove le condizioni di lavoro peggiorano sempre più». Le organizzazioni ritornino a rappresentare alla pari i lavoratori «non per le scelte vecchie ma per quelle del presente». In nome di un lavoro fatto di «libertà, diritti e dignità».

m.labanca@luedi.it

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