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M’Hamed Garouan, Imam della moschea di Sellia Marina, finito in manette all’alba di lunedì scorso insieme al figlio e ad un connazionale nell’ambito dell’inchiesta battezzata “Nostalgia”, con l’accusa di svolgere attività di terrorismo internazionale, si è avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari Emma Sonni. E così anche l’Imam così come mercoledì scorso aveva fatto il figlio Brahim Garouan, 25 anni e Younes Dahhaky, 28 anni, residente a Lamezia Terme, ha scelto di non parlare. E anche per lui, gli avvocati Enzo Galeota e Vittorio Platì non hanno avanzato al gip alcuna istanza di scarcerazione ma con ogni probabilità ricorrano al tribunale del Riesame sollecitando la revoca o la sostituzione della custodia in carcere. Per i tre uomini le accuse formulate dagli inquirenti sulla scorta delle indagini condotte dai poliziotti della Digos di Catanzaro parlano di presunte attività di addestramento alle azioni violente con finalità di terrorismo, radicalizzazione e proselitismo nei confronti di appartenenti alle comunità islamiche, poichè i tre marocchini, secondo gli inquirenti, utilizzavano la rete internet per procacciarsi e diffondere documenti multimediali riguardanti l’uso di armi ed esplosivi, e software per il sabotaggio dei sistemi informatici. Per i pubblici ministeri Elio Romano e Carlo Villani, titolari delle indagini, a Sellia Marina, paese della costa ionica catanzarese, sarebbe esistita una virtuale “palestra per terroristi” che avrebbe avuto sopratutto il compito di addestrare gli appartenenti alle comunità islamiche ad azioni con finalità di terrorismo, radicalizzazione e proselitismo.

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