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C’E’ qualcosa di rivoluzionario nel far incontrare i giovani e la fase terminale della vita. C’è qualcosa di rivoluzionario nel superare, con un sorriso, la paura della morte. «Soprattutto ora che il concetto stesso della morte è un tabù. Un tempo era il sesso, oggi è la morte». E invece capita poi di trovarsi davanti al non previsto, al non voluto. E la paura travolge ogni cosa. Finchè non arrivi all’Hospice del San Carlo di Potenza. E, anche se sai che la vita si sta allontanando, riscopri l’umanità. E la riscoperta ha il volto di tanti ragazzi – tra i 20 e i 40 anni l’età media – che hanno deciso di portare l’allegria proprio nel luogo in cui meno ci si aspetta di trovarla. 
Sono gli Amici dell’Hospice i veri rivoluzionari. Una cinquantina di ragazzi che quotidianamente regalano il loro tempo libero a chi sembra non avere più nulla, neppure la speranza. Molti di loro hanno frequentato quelle stanze da familiari di malati oncologici, altri ci sono arrivati per altre strade. Ma tutti si ritrovano quotidianamente in questo piccolo pezzo di mondo, dove tutto scorre con tempi più fluidi, dove «si prova a creare un prolungamento della famiglia», dove si può entrare e uscire liberamente, senza orari. 
Marcello Ricciuti, temporaneamente anche in veste di presidente dell’associazione Amici dell’Hospice oltre che responsabile di quel reparto, spiega con tono pacato quello che qui avviene. Nel corridoio c’è l’infermiera che con dolcezza si rivolge a un familiare: il suo turno è finito, «ma se serve aiuto resto qui». Alle pareti disegni e colori, i nomi su ogni camera. In quelle dodici stanze si consuma certamente una storia di grande dolore, ma nella massima dignità e cercando il più possibile di alleviare il dolore. E non solo del paziente. 
«Noi prendiamo in cura l’intera unità sofferente, l’intera famiglia. Questo nel momento in cui non si può più sperare di salvare il paziente. Ma anche quando il paziente arriva qui nella fase avanzata della malattia c’è ancora molto da fare per alleviare la sofferenza, per percorrere quell’ultimo tratto di strada nella maniera più dolce. Si allontana in tal modo sia l’accanimento terapeutico sia il pensiero dell’eutanasia. Per questo ritengo – dice Ricciuti – che le cure palliative dovrebbero entrare di diritto nel dibattito sulle questioni di bioetica».
E da una parte ci sono i medici e gli infermieri, che si prodigano per rendere quell’ultimo passaggio il più dolce possibile. Dall’altro ci sono questi giovani, con il loro “carrello delle coccole” e le tante iniziative per portare un sorriso in un reparto difficile. «E’ un volontariato formato – spiega Ricciuti – che si ispira alla scuola internazionale della Terapia del sorriso. Alcuni di loro hanno poi una formazione specifica in clownterapia. E in questo i nostri ragazzi sono stati dei pionieri. Perchè la figura del clown siamo abituati a vederla nei reparti di Pediatria e nessuno aveva pensato prima di portarla in un hospice. Dopo la nostra esperienza, invece, l’idea di questa figura muta che esprime le sue emozioni attraverso la gestualità ha preso piede».
Il merito dell’associazione è poi anche quello di diffondere la conoscenza di questo spazio. I ragazzi cercano – e spesso trovano – la collaborazione di tutto un mondo esterno che aspetta solo di essere sollecitato. Così c’è la pasticceria che regala dolcetti e rustici per quel “carrello delle coccole”. E ci sono i tanti che sostengono le iniziative dell’associazione permettendo poi l’acquisto dell’acquario che è all’ingresso o l’attrezzatura necessaria per fare il bagno a letto. Così come ci sono gli scambi: «facciamo progetti educativi nelle scuole, per esempio. E due anni fa abbiamo fatto delle lezioni all’Istituto d’arte. E loro poi hanno voluto ricambiare donandoci i lavori che ora sono esposti sulle pareti». L’anno scorso invece il progetto è stato all’Alberghiero. Ed è nata così la collaborazione con l’Associazione cuochi lucani, che hanno regalato a pazienti e famiglie anche una bella cena di san Valentino.
«In questo momento anche noi – dice Ricciuti – soffriamo per la crisi generale, che è reale. Ed è chiaro che anche gli aiuti ora sono meno generosi. Tanto che quest’anno non sappiamo se riusciremo a garantire le borse di studio per medico e psicologo che finora siamo riusciti a sostenere». 
Grazie ai contributi raccolti dai soci dell’associazione, infatti, negli anni passati sono state finanziate tre borse di studio per un medico palliativista da aggiungere all’organico dell’Hospice, un progetto di musico-terapia e una borsa lavoro per l’inserimento di uno psicologo dedicato al reparto. E proprio grazie alla psicologa è stato avviato un percorso di supporto al lutto. Così, anche quando il rapporto con l’Hospice dovrebbe essere chiuso, il legame resta, non si spezza.
Perchè quelle profonde emozioni che legano persone diverse (e con diversi ruoli) in un momento così complesso, restano per sempre. E anche per questo – su impulso dello storico presidente dell’associazione, Raffaele Messina – è nata la giornata della memoria. Un momento per ritrovarsi anche dopo, per ricordare chi non c’è più e per accorgersi che anche dai momenti più brutti può nascere qualcosa di bello. 
Antonella Giacummo
a.giacummo@luedi.it

C’E’ qualcosa di rivoluzionario nel far incontrare i giovani e la fase terminale della vita. C’è qualcosa di rivoluzionario nel superare, con un sorriso, la paura della morte. «Soprattutto ora che il concetto stesso della morte è un tabù. Un tempo era il sesso, oggi è la morte». E invece capita poi di trovarsi davanti al non previsto, al non voluto. E la paura travolge ogni cosa. Finchè non arrivi all’Hospice del San Carlo di Potenza. E, anche se sai che la vita si sta allontanando, riscopri l’umanità. E la riscoperta ha il volto di tanti ragazzi – tra i 20 e i 40 anni l’età media – che hanno deciso di portare l’allegria proprio nel luogo in cui meno ci si aspetta di trovarla. Sono gli Amici dell’Hospice i veri rivoluzionari. Una cinquantina di ragazzi che quotidianamente regalano il loro tempo libero a chi sembra non avere più nulla, neppure la speranza. Molti di loro hanno frequentato quelle stanze da familiari di malati oncologici, altri ci sono arrivati per altre strade. Ma tutti si ritrovano quotidianamente in questo piccolo pezzo di mondo, dove tutto scorre con tempi più fluidi, dove «si prova a creare un prolungamento della famiglia», dove si può entrare e uscire liberamente, senza orari. Marcello Ricciuti, temporaneamente anche in veste di presidente dell’associazione Amici dell’Hospice oltre che responsabile di quel reparto, spiega con tono pacato quello che qui avviene. Nel corridoio c’è l’infermiera che con dolcezza si rivolge a un familiare: il suo turno è finito, «ma se serve aiuto resto qui». Alle pareti disegni e colori, i nomi su ogni camera. In quelle dodici stanze si consuma certamente una storia di grande dolore, ma nella massima dignità e cercando il più possibile di alleviare il dolore. E non solo del paziente. «Noi prendiamo in cura l’intera unità sofferente, l’intera famiglia. Questo nel momento in cui non si può più sperare di salvare il paziente. Ma anche quando il paziente arriva qui nella fase avanzata della malattia c’è ancora molto da fare per alleviare la sofferenza, per percorrere quell’ultimo tratto di strada nella maniera più dolce. Si allontana in tal modo sia l’accanimento terapeutico sia il pensiero dell’eutanasia. Per questo ritengo – dice Ricciuti – che le cure palliative dovrebbero entrare di diritto nel dibattito sulle questioni di bioetica».E da una parte ci sono i medici e gli infermieri, che si prodigano per rendere quell’ultimo passaggio il più dolce possibile. Dall’altro ci sono questi giovani, con il loro “carrello delle coccole” e le tante iniziative per portare un sorriso in un reparto difficile. «E’ un volontariato formato – spiega Ricciuti – che si ispira alla scuola internazionale della Terapia del sorriso. Alcuni di loro hanno poi una formazione specifica in clownterapia. E in questo i nostri ragazzi sono stati dei pionieri. Perchè la figura del clown siamo abituati a vederla nei reparti di Pediatria e nessuno aveva pensato prima di portarla in un hospice. Dopo la nostra esperienza, invece, l’idea di questa figura muta che esprime le sue emozioni attraverso la gestualità ha preso piede».Il merito dell’associazione è poi anche quello di diffondere la conoscenza di questo spazio. I ragazzi cercano – e spesso trovano – la collaborazione di tutto un mondo esterno che aspetta solo di essere sollecitato. Così c’è la pasticceria che regala dolcetti e rustici per quel “carrello delle coccole”. E ci sono i tanti che sostengono le iniziative dell’associazione permettendo poi l’acquisto dell’acquario che è all’ingresso o l’attrezzatura necessaria per fare il bagno a letto. Così come ci sono gli scambi: «facciamo progetti educativi nelle scuole, per esempio. E due anni fa abbiamo fatto delle lezioni all’Istituto d’arte. E loro poi hanno voluto ricambiare donandoci i lavori che ora sono esposti sulle pareti». L’anno scorso invece il progetto è stato all’Alberghiero. Ed è nata così la collaborazione con l’Associazione cuochi lucani, che hanno regalato a pazienti e famiglie anche una bella cena di san Valentino.«In questo momento anche noi – dice Ricciuti – soffriamo per la crisi generale, che è reale. Ed è chiaro che anche gli aiuti ora sono meno generosi. Tanto che quest’anno non sappiamo se riusciremo a garantire le borse di studio per medico e psicologo che finora siamo riusciti a sostenere». Grazie ai contributi raccolti dai soci dell’associazione, infatti, negli anni passati sono state finanziate tre borse di studio per un medico palliativista da aggiungere all’organico dell’Hospice, un progetto di musico-terapia e una borsa lavoro per l’inserimento di uno psicologo dedicato al reparto. E proprio grazie alla psicologa è stato avviato un percorso di supporto al lutto. Così, anche quando il rapporto con l’Hospice dovrebbe essere chiuso, il legame resta, non si spezza.Perchè quelle profonde emozioni che legano persone diverse (e con diversi ruoli) in un momento così complesso, restano per sempre. E anche per questo – su impulso dello storico presidente dell’associazione, Raffaele Messina – è nata la giornata della memoria. Un momento per ritrovarsi anche dopo, per ricordare chi non c’è più e per accorgersi che anche dai momenti più brutti può nascere qualcosa di bello. 

a.giacummo@luedi.it

 

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