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POTENZA – «Oltre agli incontri nello studio del ragionier Fanizzi ci sono stati dei briefing per definire le modalità esecutive del progetto al Fashion e negli uffici regionali di via Anzio». Per sgombrare subito il campo da ogni equivoco di sorta, il Fashion fino a un paio d’anni fa era uno dei locali più in voga di Potenza, un cocktail bar per la precisione, trasformato di recente in una moderna poker room. Il «progetto» non è una grande opera, ma una possibile collaborazione pubblico-privato per la realizzazione del nuovo stadio cittadino. Il ragioner Fanizzi è in carcere da un anno e mezzo con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di cocaina negli ambienti “bene” del capoluogo. Chi parla non è quello che si potrebbe dire un versatile uomo d’affari bensì il padrino dei nuovi basilischi davanti agli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia.
Solo «gli uffici regionali di via Anzio» sarebbero davvero gli uffici regionali di via Anzio, perchè in tutti quegli incontri a parlare di affari ci sarebbe stato un consigliere regionale, Luigi Scaglione, fino a quando non è venuto a galla che i carabinieri avevano mangiato la foglia.
Ce ne sono delle nuove nelle dichiarazioni dell’ultimo collaboratore della Dda lucana, anche per l’affare al centro della calciopoli rossoblù, lo scandalo che è esploso a dicembre del 2009 e ha trascinato nel baratro il Potenza sport club di Giuseppe Postiglione. Le accuse per il giovane patron, Antonio Cossidente, il consigliere regionale Luigi Scaglione, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, e tutti gli altri, pendono ancora davanti al gup Rosa Larocca che per febbraio dovrebbe decidere delle richieste di rinvio a giudizio e delle posizioni di chi, come lo stesso boss pentito, ha optato per il rito abbreviato e grazie allo sconto di pena e ai benefici della collaborazione rischia appena 4 anni di reclusione. Si parla di una società sportiva asservita agli interessi del clan, partite truccate e un giro di scommesse dai contorni oscuri, più una serie di episodi di intimidazione e persino violenze sui giocatori delle squadre avversarie. Gli investigatori del Nucleo operativo dei carabinieri si erano fermati sulla soglia di un grande albergo romano dove un ex collaboratore di Postiglione aveva raccontato di incontri ai massimi vertici tra dirigenti di diverse società di calcio professionistico per scambiarsi informazioni sui risultati sicuri della domenica successiva. Quanto invece al progetto del nuovo stadio erano riusciti a intercettare una conversazione molto eloquente nello studio del ragionier Aldo Fanizzi, una specie di “consigliori” del boss per le questioni commerciali del clan.
«L’unica condizione è creare una opportunità d’investimento per la quale qualcuno che si senta coinvolto nel sostegno alla società accatasta un progetto d’investimento, non dell’acquisizione di quote della società (…) Troviamo una forma di investimento. Intorno a cosa? Ipotizziamo che un gruppo, una società costituita apposta che in relazione ai rapporti con il Potenza sia propensa a costruire il nuovo stadio». Scaglione ne parlava in questi termini il 21 ottobre del 2007 con Postiglione e Cossidente, che invitava a «uscire fuori dalla logica di chi rompe i coglioni, e pensa a lui come un boss», e in pratica di mettersi a faticare in maniera onesta.
Quella cordata rimasta solo tratteggiata nelle informative degli investigatori di quattro anni e mezzo fa prende corpo con più consistenza nelle dichiarazioni del pentito all’antimafia che racconta dei «briefing» negli uffici della Regione. «Di solito era presente oltre al sottoscritto, a Postiglione e a Scaglione anche Genì D’Onofrio e soltanto a volte Fanizzi. Non ricordo se i nostri ingressi venivano registrati prima dell’accesso agli uffici regionali. Di solito al momento di iniziare a discutere dicevo a Fanizzi di uscire dalla stanza per non assistere ai colloqui». Delle decisioni che sarebbero state prese in quella sede il boss pentito ha dato solo una sommaria ricostruzione: «Se il progetto fosse stato realizzato Scaglione avrebbe guadagnato sia in termini di consenso elettorale che in termini economici perchè avrebbe fatto parte del consiglio direttivo della società sportiva».
Poi però gli arriva un avviso a presentarsi come persona informata sui fatti dagli inquirenti e la cosa va in fumo: «Dopo che l’avete interrogato Scaglione ha cambiato le carte in tavola, travisando le sue intenzioni e non tenendo fede agli accordi originari con me e con Postiglione». Prima ancora però ci sarebbe stato un incontro tra il boss e il consigliere regionale «all’Epitaffio», una zona tranquilla sulla montagna a nord di Potenza al riparo da occhi indiscreti. «Mi disse di aver saputo di essere sotto controllo da parte delle forze di polizia e che a quel punto credeva che il progetto avrebbe avuto una pessima riuscita». Un’intuizione o una fuga di notizie?
Sono tutti spunti al vaglio degli investigatori ormai da più di un anno, tanto è durata finora la caccia dei riscontri necessari per discernere il vero dal falso in mezzo alle centinaia di nomi e di fati raccontati dal boss, con più di qualche contraddizione, a volte con se stesso e a volte con quello che hanno detto degli altri collaboratori di giustizia come il suo ex compagno di cella nel penitenziario di Ariano Irpino. Il melfitano Alessandro D’Amato, uno dei sicari che sarebbero stati reclutati proprio da Cossidente per l’omicidio dei coniugi Gianfredi – come hanno ammesso tutti e due -, ad esempio ha raccontato che dal carcere il vecchio boss avrebbe chiesto 100mila euro ai politici coinvolti nell’inchiesta sul Potenza calcio per il suo silenzio. Questo Cossidente sembra non ricordarlo affatto. E non è un dettaglio per niente indifferente.

Leo Amato

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