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POTENZA – Per gli investigatori non c’è dubbio. Qualcuno nella notte di domenica sul lungomare di Scanzano Jonico ha dato fuoco al locale estivo della figlia del presunto «boss», che su facebook non ha perso tempo e già grida vendetta. «La pagherete cara… molto cara». Così all’incubo degli incendi del metapontino se ne aggiunge un altro.
Si cercano negli ambienti della mala del metapontino i responsabili della distruzione dell’“Eva Kant”: il chiosco bar di Sonia Schettino, imprenditrice di Scanzano e figlia di Gerardo, ex carabiniere 50enne originario di Viggianello.
Sul posto sono intervenuti i militari dell’Arma di Policoro che hanno escluso quasi subito l’ipotesi del corto circuito. Dato che la struttura risulta scollegata dalla rete elettrica, a parte un allaccio “volante” predisposto d’estate in occasione della sua apertura.
Le fiamme si sono accese a una settimana dall’allarme, rilanciato dal Quotidiano, dell’ultima relazione inviata in Parlamento dal Ministro dell’interno Alfano. Un rapporto sui vecchi boss, tornati a marcare il loro territorio, e i nuovi signori del crimine sulla 106.
I responsabili del Viminale avevano evidenziato che dalle ultime indagini era emersa «una sorta di scissione» nella mala del policorese legata al presunto «clan Mitidieri». Scissione che vedrebbe da una parte Gerardo Schettino Gerardo e Michele Puce (39enne di Scanzano) e dall’altra il tursitano Rocco Russo (45) e il policorese Cosimo Vena (38).
Motivo per cui già a giugno del 2013 la polizia di Matera avrebbe «deferito alla competente Autorità giudiziaria 52 persone facenti parte di due distinti gruppi criminali (…) entrambi organizzati e operanti secondo tipiche condotte mafiose che avvalendosi dell uso di micidiali armi – anche Kalashnikov – e di atti di intimidazione e di scontro con i gruppi antagonisti, gestivano principalmente il traffico e la vendita al dettaglio di sostanze stupefacenti, soprattutto “cocaina”, simultaneamente impegnandosi, nella realizzazione sistematica di analoghe e molteplici condotte criminose».
Da allora le indagini sono tornate nell’ombra, oscurate dallo scontro tra gli uffici giudiziari di Potenza e Matera su competenze e approcci investigativi.
Di recente anche nell’ultimo resoconto della Direzione nazionale antimafia si era fatto riferimento a una «poderosa informativa» della polizia che compendiava incendi, bombe, minacce, strani furti e incursioni nei cantieri del materano. Una scia di denunce che da 4 anni a questa parte ha alimentato le preoccupazioni degli operatori economici. Ma anche alcuni fatti di sangue come «il tentato omicidio avvenuto in data 12 agosto 2014 ai danni di Rocco Russo». Un episodio che alla luce di quello di domenica rischia di apparire come un precedente inquietante. Anche perché né Russo né altri hanno mai voluto raccontare cosa sia successo davvero.
Chi ha incendiato l’Eva Kant può essere stato anche un balordo, ma tra gli investigatori va per la maggiore il sospetto di un segnale. Un segnale di fuoco indirizzato in carcere, dove Schettino è detenuto da giugno dell’anno scorso e rischia di restare ancora a lungo. Dopo le accuse della Dda di Catanzaro per i traffici di droga col clan degli zingari di Cassano. Mentre a gennaio, sempre dell’anno scorso, era toccato a Michele Puce, inseguito dalla Dda di Lecce.
Fuori gli equilibri sono cambiati. E stavolta non si salvano nemmeno gli affari di famiglia del “carabinir”.

l.amato@luedi.it

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