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POTENZA – Le accuse al sindaco di Melfi reggono. Tradotto: ha sbagliato nonostante continui a negarlo. Eccezion fatta per l’appalto «lecca lecca» alla ditta del cognato di un consigliere “recalcitante”, che forse è stata solo un’iniziativa del suo vice. Ma ha «certamente» capito la lezione. Le altre persone coinvolte restano sospese. E in Comune, tra arresti e avvisi di garanzia, quel «contesto d’impunità» ormai si è «sfaldato». Quindi può tornare a indossare il tricolore.

Lo sostengono i giudici del Riesame che agli inizi di febbraio hanno annullato l’ordinanza di divieto di dimora nella cittadina federiciana per il sindaco, Livio Valvano, coinvolto nell’inchiesta su abusi di potere e affidamenti pilotati in municipio. 

Le motivazioni della decisione sono state depositate mercoledì e nei prossimi giorni non è escluso che vengano portate in Cassazione dalla Procura della Repubblica. 
Di fatto il pm che ha coordinato le indagini, Francesco Basentini, e il gip Tiziana Petrocelli erano giunti a conclusioni opposte, sulla base degli stessi elementi. Incluso l’interrogatorio di Valvano, in cui si è difeso con forza rispedendo al mittente tutte le contestazioni. 

«Appare difficile», concorda il collegio presieduto da Gerardina Romaniello (consiglieri Natalia Catena e Vincenza Cozzolino), che il sindaco «ignorasse il concreto ruolo» dell’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune, Bernardino D’Amelio. Un ente dove le indagini hanno mostrato la «sistematica violazione di plurime regole di condotta» e l’assegnazione di «lavori pubblici di ogni genere» ad «appannaggio esclusivo» di D’Amelio, «al quale gli imprenditori a lui meno vicini si rivolgevano umilmente chiedendo di poter “lavorare”». 

Il sindaco avrebbe saputo del «sistematico affidamento dei lavori ai Caprarella»: l’ex consigliere comunale Antonio e il padre Emilio. Entrambi nel mirino dell’antimafia potentina per i loro rapporti col clan Di Muro. «Del resto – annotano i magistrati – Valvano chiede a costoro», attraverso D’Amelio, l’assunzione di una persona bisognosa che gli aveva chiesto aiuto, «nella consapevolezza che non possono rifiutarsi di farlo». 

Eppure le esigenze cautelari appaiono «mutate», secondo i giudici di Libertà. I 10 giorni trascorsi agli arresti domiciliari avrebbero avuto «plurimi effetti deterrenti» per il primo cittadino. «Si tratta infatti – spiegano – di soggetto incensurato sul quale certamente il concreto verificarsi di conseguenze negative per le condotte poste in essere può aver sortito un efficace effetto dissuasivo». 

Difficile che gli inquirenti digeriscano un discorso del genere. Anche perchè a breve l’intenzione era quella di chiedere un processo per il sindaco, assieme a tutti i membri della vecchia giunta (tranne l’ex assessore Rosa Masi), due dirigenti del Comune, un consigliere comunale e un ex primo cittadino come l’avvocato Alfonso Salvatore. 

Il Riesame non crede alla difesa di Valvano che ha «comprensibilmente rappresentato come l’operato del proprio assistito sarebbe non solo improntato alla massima buona fede, ma anche volto alla tutela di fasce deboli e, dunque, espressione di una gestione da “buon padre di famiglia” della amministrazione». Peraltro evidenzia che le motivazioni di quanto compiuto possono valere soltanto per la «dosimetria della pena». Alla fine del processo se mai sarà. 

Quanto alla variante da quasi 400mila sul progetto delle case popolari di contrada Bicocca, affidata a una ditta dei Caprarella, che nel 2009 si era aggiudicata anche l’appalto, i giudici spiegano che sarebbe servita una nuova gara. Solo «la falsa perizia di variante predisposta da D’Amelio con Caccamo (Gerardo, ragionere “factotum” dei Caprarella)» avrebbe permesso di mantenere il valore dei lavori sotto la soglia del 20% di quello dell’appalto principale, e di procedere con un affidamento diretto. E di questo il primo cittadino sarebbe stato perfettamente consapevole, dalla lettura delle «plurime affermazioni di D’Amelio (registrate dalle microspie piazzate nel suo ufficio, ndr) che rassicura in più occasioni sindaco e appaltatrice che “tutto” sia sotto tale limite». 

D’altra parte i giudici del Tribunale della libertà si soffermano sulla vicenda della donna assunta dai Caprarella “per conto” del sindaco. Sottolineano le dichiarazioni di D’Amelio che di fronte al gip ha ammesso di aver veicolato la richiesta del sindaco. E l’atteggiamento di Antonio Caprarella «“indotto”, nel significato di “spinto”, consapevole che il complessivo clima collusivo (…) gli imponevano di contraccambiare i favori offerti dall’amministrazione con prestazioni non dovute». 

Solo sui lavori da affidare alla ditta del cognato del consigliere comunale Antonio Sassone per ottenere il suo voto favorevole al bilancio si mostrano scettici a proposito del coinvolgimento di Valvano. «Ben potrebbe ipotizzarsi – concludono – che Di Ciommo (Rinaldo, l’ex vicesindaco, ndr) effettivamente invitato da Valvano a cercare il consenso dei consiglieri abbia autonomamente deciso di utilizzare la tecnica del “lecca lecca”.

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