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LA presentazione a Potenza di un libro (“Il golpe inglese”, che ho scritto con Mario J. Cereghino per Chiarelettere) si è trasformata in un pretesto per alimentare faide politiche locali. Con un effetto bizzarro. Le polemiche che ne sono seguite non solo hanno oscurato il contenuto del libro, e poco importa. Ma hanno finito per trasmetterne all’opinione pubblica un’idea deformata, e allora devo intervenire.
Prima di tutto, sgombriamo il campo dall’equivoco che si è creato: il “golpe” che ho ricostruito con Cereghino non è il “golpe” denunciato dall’onorevole Vincenzo Folino. Il quale, durante la presentazione organizzata dalla Fondazione BasilicataFuturo, ha rivelato che l’ambasciatore inglese ha indotto il governo italiano ad autorizzare nuove ricerche per garantire una fetta del petrolio lucano a compagnie britanniche. Il sottinteso della denuncia – è parso di capire – è che le autorità politiche regionali avrebbero accettato supinamente. Non è questo che raccontiamo nel libro.
Il nostro “golpe inglese” lo raccontano gli stessi inglesi. Perché è basato interamente su documenti del governo, della diplomazia, dell’intelligence, delle compagnie petrolifere del Regno Unito, trovati negli archivi di Stato a Londra. Quelle carte, ormai desecretate – e quindi a disposizione degli studiosi, ma mai viste prima dai pigri ricercatori italiani – ricostruiscono quasi sessant’anni di storia oscura italiana. Consentono di rintracciare uno dei fili segreti che la percorrono tragicamente: il tentativo britannico di esercitare un «dominio assoluto» (sì, sono proprio gli inglesi, a dichiarare il loro obiettivo!) sul nostro Paese, piattaforma naturale nel cuore del Mediterraneo dalla quale controllare rotte commerciali e fonti di approvvigionamento energetico in Nord Africa e in Medio Oriente. Gli archivi di Londra rivelano molto altro, purtroppo. Dicono come tutti gli esponenti di quella parte della classe dirigente italiana “sovranista” siano entrati inevitabilmente in rotta di collisione con il governo di Sua Maestà, e ne abbiano pagato duramente il prezzo. Ci parlano di uomini come Enrico Mattei, per esempio. Definito «un nemico mortale degli interessi britannici nel mondo», una «verruca», un’«escrescenza» da estirpare ad ogni costo: «Abbiamo tentato di fermarlo in tutti i modi, non ci siamo riusciti. Forse è giunto il momento di passare la pratica alla nostra intelligence», si legge in un documento che mette i brividi, perché datato sei mesi prima della morte del presidente dell’Eni, avvenuta nel 1962 in un incidente aereo provocato da un sabotaggio. Ci parlano, quei documenti, di Aldo Moro, il continuatore della politica matteiana. Anch’egli definito «un pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo». Tanto da indurre il governo di Londra, nel 1976, a pianificare un vero e proprio golpe per blocccare la sua politica. Incoraggiati dai francesi, ma energicamente sconsigliati da americani e tedeschi, gli inglesi rinunciarono al colpo di stato militare classico, che avrebbe comportato contraccolpi negativi per l’immagine dell’Alleanza atlantica e il rischio di un bagno di sangue nel nostro Paese. Ma non abbandonarono l’obiettivo di fermare Moro attraverso l’opzione “B”: «l’appoggio a una diversa azione sovversiva».
Di questo parla il libro. E di molte altre cose ancora. Del reclutamento di boss mafiosi e criminali repubblichini nell’intelligence britannica già durante la guerra, per usarli dopo con altri scopi. Dello stuolo di giornalisti, intellettuali, politici, sindacalisti, militari, diplomatici e persino cardinali «clienti» della macchina della propaganda occulta inglese. Certo, il libro dovrebbe indurre a interrogarci sul futuro dell’Italia, oggi che la sua classe dirigente “sovranista” è stata interamente rasa al suolo, la sua industria di Stato (che un tempo trasformò una nazione sconfitta in guerra in uno dei motori dell’economia mondiale) è stata smantellata e svenduta, e che l’Italia stessa produce petrolio. Ma non può essere usato per infiammare beghe localistiche.

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