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CATANZARO – Informative rimaste nei casseti, controlli evitati per anni, indagini mai portate avanti, relazioni di servizio mai trasmesse alla Procura, aiuti, sostegni e molto altro. Il potente clan Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) aveva trovato degli alleati perfetti nell’ex capod ella squadra mobile di Vibo valentia e nel suo vice, arrestatiu stamane. Quegli stessi vertici delle forze di polizia che avrebbero dovuto contrastare la criminalità organizzata e che, invece, avrebbero organizzato tutto in combutta. Grazie ad una figura chiave: l’avvocato Antonio Carmelo Galati.
Si tratta del legale della famiglia Mancuso, consulente negli affari dello stesso clan, ma capace di interagire con pezzi importanti dello Stato. L’operazione portata a termine oggi dai Carabinieri del Ros e dagli agenti della squadra Mobile di Catanzaro è, a detta degli stessi inquirenti, inquietante. Perchè delinea in maniera netta i ruoli di apparti dello Stato che avrebbero ceduto alle lusinghe dell’antistato. In manette sono finiti l’ex capo della Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, in servizio ora a Messina, il suo ex vice, Emanuele Rodonò, in servizio a Roma, e lo stesso avvocato Galati. Lento è stato a capo della Mobile di Vibo dal 2007 al 2011 (LEGGI L’ARTICOLO SULL’OPERAZIONE).
I dettagli dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, negli uffici della Dda, alla presenza del procuratore, Vincenzo Antonio Lombardo, e dell’aggiunto, Giuseppe Borrelli. E’ stato quest’ultimo a ripercorrere le tappe salienti dell’inchiesta, partendo dall’operazione “Purgatorio” con cui il Ros dei Carabinieri aveva gettato le basi per i possibili sospetti su vertici dello Stato. Da lì è stato un susseguirsi di tasselli, messi insieme grazie soprattutto ad intercettazioni, che hanno permesso di confermare i rapporti tra i tre personaggi arrestati e, soprattutto, i favori di cui la cosca Mancuso avrebbe goduto.
Così, evidenzia Borrelli, è l’avvocato Galati a tranquillizzare Pantaleone Mancuso (classe 1947) sul fatto che “non bisogna più avere paura della polizia”. Ed ancora, c’è quasi il dispiacere dell’allora capo della Mobile, Lento, per non potere recarsi in visita dal boss dei Mancuso, per evitare problemi. Tra cene, bottiglie di champagne e quant’altro, ai Mancuso venivano trasferite informazioni su indagini in corso, le linee di inchiesta dettate dalla Procura, le strategie decise e quant’altro potesse tornare comodo. Compresa la volontà di insinuare un clima di sospetti, paure e preoccupazioni che potessero coinvolgere quanti non sarebbero stati funzionali a certe logiche. C’è poi una intercettazione tra Rodonò e Galati, in cui l’ex capo della Mobile ammette di non avere potuto fare indagini contro i Mancuso “per un obbligo di amicizia e di gerarchia”. Persino arresti e controlli dovuti non sarebbero stati effettuati. Come nel caso di Pantaleone Mancuso (detto l’ingegnere), scoperto dopo avere violato gli obblighi imposti da una misura restrittiva, lasciato quindi libero e non più controllato per anni. I funzionari di polizia avrebbero vissuto con Galati un rapporto continuo. Come quandoi Rodonò e Galati, in una nota struttura alberghiera di Vibo Valentia, vennero accolti con una bottiglia di champagne da Rosaria Mancuso, figlia del boss dell’omonimo clan. “Si tratta di una situazione nota e dimenticata – ha spiegato Borrelli nel corso della conferenza stampa – incompatibile con la necessaria attività di polizia giudiziaria. Galati era riuscito a creare rapporti con uomini della polizia, ma anche con esponenti dei Carabinieri subito rimossi dall’incarico”.

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