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di PIETRO SCOGNAMIGLIO
SFATIAMO un luogo comune, Potenza non è una piazza dove si vive di calcio. Non parliamo di tifoseria, ma del tessuto cittadino. Una città che si autoproclama “affamata di pallone” i 100mila euro per tentare la costruzione di una nuova società in Eccellenza li avrebbe trovati (se non anche i 300mila per la D), mettendo la Figc nella posizione di non cavarsela con fare pilatesco. Consentire al Potenza di Postiglione di iscriversi al massimo campionato regionale è stato infatti un modo per lavarsi le mani negli uffici capitolini di Via Allegri, dove ci sono in ballo questioni ben più significative di un’eventuale disputa amministrativa sull’esclusione di una società con qualche credito, una fideiussione bloccata e una marea di debiti. Calcisticamente, quella che si sta vivendo in città è una tragedia. Va ricordato che il calcio rimane la cosa più seria tra quelle meno serie, ma che la massima espressione sportiva è anche molto spesso metafora dello stato di salute generale del territorio. Delle istituzioni, della politica, della piccola e media imprenditoria, del sentirsi attivamente cittadini. La Potenza che ha dimostrato di non poter, ad oggi, fare calcio senza Postiglione – è la cruda realtà – non dà certo una bella immagine di sè. In tutte le realtà in cui un primo cittadino si è fatto garante di un nuovo progetto societario secondo l’articolo 52 delle Noif, in D o in Eccellenza, l’operazione è riuscita. A Potenza no. E non certo per mancanza di buona volontà da parte di Vito Santarsiero, che per scrollarsi di dosso la cattiva nominata che le recenti vicende calcistiche hanno portato sulla comunità non ha persino dormito la notte. Per trovarsi, alla resa dei conti, ad averci messo la faccia per sentirsi poi dire sommessamente da alcuni suoi interlocutori imprenditoriali “e tu in cambio che mi dai?”. Non appartenendoci il moralismo, che lasciamo anche in questo caso a chi si occupa di faccende più rilevanti, proviamo un po’ di sincera invidia per quelle città in cui gli imprenditori sono benevolmente costretti a restituire quello che ricevono. E il calcio è una delle corsie preferenziali per tali dinamiche. E allora Potenza si merita Postiglione, nel bene (a compromessi con la politica non è sceso mai) e nel male. Che è ben evidente, senza necessità di esemplificare nel dettaglio. E’ forse arrivato il momento in cui bisogna guardarsi allo specchio e capire che rispetto a Perugia, Arezzo, Avellino, Pistoia, San Benedetto del Tronto e altre piazze questa città è indietro anni luce. E ci costringe, paradossalmente, a dare atto ai legali del sodalizio rossoblu per il miracolo giuridico-sportivo su cui hanno messo la firma. La presenza di un’imponente fideiussione bloccata era un inedito, ma fino alla passata stagione le società escluse dal professionismo con le medesime modalità del Potenza sono finite in Terza Categoria, se non proprio sparite. La giustizia sportiva, un enorme calderone interpretativo, sul caso-Potenza si è letteralmente attorcigliata su se stessa. Un altro storico inedito, quello sancito in primavera dal Tnas che aveva riammesso i rossoblu in Prima Divisione pur condannandoli alla retrocessione, aveva alle spalle una chiave di lettura politica facile da comprendere anche per analisti non certo raffinati. Chi difese il Potenza in quella sede riuscì ad ottenere, partendo dalla sostanziale cancellazione dalla mappa del calcio voluta da Palazzi, una speranza. La città avrebbe potuto rimanere tra i professionisti se si fosse ottemperato a determinate mancanze. Si sapeva già che ci sarebbe stata una possibilità su un milione, ma fu già un successo ottenerla. I giudici del Tnas si erano fidati di Potenza, delle possibilità che un capoluogo di regione potesse fare calcio pagando il giusto prezzo per liberarsi da Postiglione e dai danni fatti. Il dramma sportivo di questi giorni, probabilmente, non è altro che un contrappasso di dantesca memoria.

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