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Dalla politica del rinvio a quella dell’attesa? Questo sembra affacciarsi all’orizzonte della situazione italiana tanto per la maggioranza quanto per l’opposizione. Tutti aspettano l’autunno, giusto per capire che tempo (politico, economico, sociale) farà. Alle previsioni che circolano va prestata la giusta attenzione, perché sono come le previsioni del tempo in anni lontani quando non c’erano i satelliti, i modelli matematici e quant’altro: chi faceva il contadino sperava che piovesse, chi aveva prenotato le ferie che splendesse il sole.

In verità il primo interrogativo da porsi è se sarà davvero possibile aspettare le urne d’autunno per avere, come si dice in politica, il quadro della situazione. Luglio si preannuncia come un mese complicato per i partiti. Ci sono molti dossier da chiudere e non per tutti si potrà usare la politica del rinvio. Sicuramente non sarà possibile per i decreti da convertire in legge, che se si rinviano semplicemente scadono e adesso la felice (si fa per dire) prassi della prima repubblica con la reiterazione continua dei decreti in scadenza non è più utilizzabile. Dunque tutto finirebbe in nulla se non venissero convertiti, con le prevedibili ricadute sulle aspettative degli italiani.

Con quei decreti ci sono problemi non semplici, basta vedere per esempio quanto tardi la presentazione di quello sulle “semplificazioni”. Qui crediamo che, oltre a qualche incomprensione che si teme possa sorgere nelle fila della maggioranza, la questione principale stia nella difficoltà di comporre le mille esigenze delle varie burocrazie (a cominciare da quelle giudiziarie) con tutte le complicazioni che possono sorgere da “semplificazioni” che poi vengono gestite in un contesto in cui abbondano i furbetti (e basta ricordare il recente caso all’ATM di Milano per capire quanto il fenomeno non si circoscriva alla cosiddetta criminalità organizzata).

In altri casi c’è proprio la questione di comporre le richieste e anche gli appetiti dei più vari soggetti. Pensiamo al caso del decreto Rilancio, con la sua politica dei bonus e cose simili che spingono tutti i settori in difficoltà e non considerati a chiedere qualcosa anche per loro. Qui la faccenda si complica: ci sarebbe da tenere conto anche delle opposizioni, perché non è che si possa andare avanti a dire che si vorrebbe una solidarietà trasversale “alla portoghese” (in quel paese c’è una convergenza proficua fra governo e opposizione) e poi evitare di fatto qualsiasi negoziato. Si sa benissimo che in questa fase se il governo nicchia non è che l’opposizione si sporga per venirgli incontro, Non poche proposte che vengono dal centrodestra sono formulate per non essere ricevibili, tipo quelle sui tagli della tassazione, ma il governo non dovrebbe cadere così facilmente nella trappola di doversi affidare alla fine alla tagliola della fiducia, perché così facendo apre una prateria alle opposizioni che potranno continuare a dire che loro avrebbero fatto molto meglio. E comunque sarà direttamente sotto accusa da tutti quelli che non ha saputo o potuto accontentare.

Poi naturalmente c’è la solita faccenda del Mes che incombe come l’ombra di Banco. Che non possa essere derubricata ad una semplice scelta tecnica interna è stato chiarito, sia pure coi toni felpati di un leader come la Merkel che ha mandato il messaggio che in sede europea Conte non può aspettarsi che tutti i sostenitori di un buon recoveryplan diano il sangue per una maggioranza che non è in grado di ridurre alla ragione un gruppetto di politici senza visione che pensa solo ai finanziamenti a fondo perduto. Il premier si è pubblicamente risentito, non sappiamo se per amor di commedia o perché realmente crede di poter dettare condizioni a chi guida la UE. Sta di fatto che il tema è sul tavolo ed è illusorio pensare che anche questa faccenda possa essere rinviata all’autunno.

Si capisce che tutto si sta complicando per un certo mutamento del quadro politico. Al di là delle sceneggiate a pro dei rispettivi fan club, sembra che ormai ci si convinca che, a meno di eventi imprevisti, non ci saranno elezioni politiche per un bel periodo, per cui si può più proficuamente lavorare allo scenario di un cambio di governo (e l’opposizione lascia perdere il sogno della spallata).

L’aspettativa è trasversale in parlamento, anche se non c’è alcun accordo consolidato su quale potrebbe essere l’esito di una crisi: le opzioni che perseguono i vari gruppi (e in alcuni partiti ce ne sono più d’uno) sono varie e per il momento tutte si tengono il più possibile coperte. Molti però, se non proprio tutti, concordano che comunque un cambio alla guida del governo potrebbe favorire le rispettive fortune elettorali, o magari, più prosaicamente, favorire una intesa abbastanza larga per superare la boa della successione di Mattarella senza che in quell’occasione si assista ad uno sfascio del nostro sistema politico. Una eventualità purtroppo non impossibile e che certo non farebbe il bene del paese.


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