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Simona Bordonali mostra la t-shirt con su scritto "Vento del Nord"

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LO Spacca Italia fa il suo ingresso a Montecitorio ed è subito rissa. Urli, insulti, cartelli, slogan “nordisti” stampati sulla T-shirt verde oliva ostentati aprendo la giacca. Con l’opposizione che sventola il Tricolore: “Fermatevi non dividete il Paese”. Un invito a mettere da parte le armi e cestinare una riforma considerata dalla stragrande maggioranza di esperti, economisti e costituzionalisti “divisiva, pericolosa e sbagliata”. Una riforma nata come merce di scambio per assecondare i rigurgiti secessionisti di chi vent’anni fa tuonava contro Roma Ladrona. Quello dello Spacca Italia è un film già visto a Palazzo Madama e che ieri è andato in ondaa Montecitorio. Nord contro Sud, Sud contro Nord, uno show surreale che neanche al tempo di Casa Savoia e delle annessioni plebiscitarie…

Risultato: atmosfere garibaldine, un’Italia riflessa nello specchietto retrovisore con il resto del globo terracqueo immerso in questioni ormai planetarie. Spettacolo persino umiliante se si pensa che tutto nasce dall’esigenza di soddisfare i capricci della Lega (Nord) in cerca dei voti perduti. Per qualche oscura ragione gli alleati del centrodestra che hanno sempre remato in senso contrario hanno deciso di fare un regalo di compleanno al Carroccio, un partito che ha appena spento 40 candeline. Il tutto per ricevere in cambio il Premierato, l’altra riforma approdata a Palazzo Madama tanto cara a Giorgia.

Il momento-clou di Montecitorio, dicevamo, è stato quando la deputata lombarda Simona Bordonali ha mostrato la T-shirt con su scritto “Vento del Nord” e ha superato se stessa quando, nell’incredulità generale, per rivendicare le ragioni dello Spacca Italia, ha citato l’ideologo secessionista Gianfranco Miglio, imitato poco dopo dal suo collega Candiani. Miglio, il guru di Bossi, il testo sacro rivelatore delle reali intenzioni leghiste, la loro Bibbia.

Il resto è storia di una forzatura, di una corsa contro il tempo per la conquista del Santo Graal: portare a Montecitorio entro il 29 aprile, cioè ieri, lo Spacca-Italia. Bandiera da sventolare al popolo padano prima del voto per le Europee. Ma qui casca l’asino: l’accordo di maggioranza non prevede per ora il voto. Solo la discussione in Aula. Almeno non prima che il Premierato abbia completato lo stesso percorso. Ma Giorgia Meloni non sembra del resto avere alcuna intenzione di intossicare la sua campagna elettorale intestandosi un provvedimento distante anni luce dal suo percorso politico iniziato nel Msi, il partito più centralista e statalista di tutti che votò anche contro le regioni a statuto speciale, figuriamoci concedere l’autonomia per quelle ordinarie. Idem per Antonio Tajani che ha già dato qualche altolà guadagnandosi gli strali leghisti.

Quello che è successo ieri è un antipasto di quello che potrebbe accadere se lo scontro dovesse andare avanti anche nei prossimi giorni. L’opposizione, sia pure a scoppio ritardato, ha dato battaglia: durante l’iter ha presentato circa 2.400 emendamenti, anche ne sono stati votati solo 70″, circa il 2%, come ha osservato Simona Bonafè (Pd). Per gli altri è scattata la tagliola. Per non dire del “pericoloso precedente”, quell’emendamento 1/19 presentato dal M5S e approvato in commissione Affari costituzionali che avrebbe disinnescato il provvedimento leghista rallentandolo e rimandandolo in Senato. “Fermatevi”, ha ripetuto Alfonso Colucci (M5S) perché “questo provvedimento arriva in Aula dopo un comportamento illegittimo di questa maggioranza”. Filiberto Zaratti (Alleanza verdi e sinistra) ha denunciato “le gravi carenze che ci sono state in Commissione”, “un fatto grave anche perché stiamo parlando di un provvedimento che cambia la natura delle nostre istituzioni e dello Stato italiano”. “Non si è voluto dare – ha proseguito Zaratti – il tempo necessario per approfondire questa materia e si è utilizzato il regolamento per strozzare la discussione , per non far sapere ai cittadini il misfatto che si stava compiendo: se per sciatteria la maggioranza perde le votazioni e poi le riprende cambiando in modo totale il collegio questo è gravissimo”.

Sotto accusa è finito anche il presidente della Camera Lorenzo Fontana per il suo atteggiamento “pilatesco”. In pochi sono entrati nel merito degli articoli del Ddl Calderoli. Più efficaci gli esempi pratici. Anthony Emanuele Barbagallo (Pd) ha parlato di “un Sud del Sud”, ha ricordato lo stato in cui versano le aree interne del Mezzogiorno; le migliaia di corse di bus-scuola tagliate; i pronto soccorso presi d’assalto; l’emorragia di medici, i 4 milioni e mezzo di cittadini che hanno rinunciato a curarsi”. Dinanzi a questo quadro più volte rappresentato nelle tante audizioni di esperti “pensare – ha sostenuto Barbagallo – ad un trasferimento delle risorse, al cosiddetto residuo fiscale da trattenere sui territori è una follia: solo nel 5% delle scuole siciliane c’è il tempo pieno contro il 95% del comune di Monza”.

Fermatevi. Fermatevi, ha chiesto anche Gilda Sportiello rispondendo ai leghisti e a quanti giustificano l’autonomia “dicendo che ce lo chiede l’Europa”. “L’Europa per la verità – ha replicato deputata napoletana – ci chiede esattamente il contrario cioè di ridurre le diseguaglianze”. “Cornacchia”, è partito un urlo dai banchi della maggioranza rivolto ad una non meglio precisata deputata dell’opposizione. Toni altissimi, primi effetti di una riforma divisiva. E sullo sfondo la descrizione di un Mezzogiorno desertificato, “regioni in cui, causa frana, ancora non arriva il treno”. Le audizioni hanno smontato punto per punto il disegno di legge del ministro Calderoli, quello che considerava Napoli “una fogna da bonificare”, il ministro definito dal professor Gianfranco Viesti, autore di numerosi scritti sull’autonomia differenziata, “un analfabeta costituzionale”.

E’ stato proprio Viesti a ricordare di recente che il Consiglio regionale della Calabria guidato dal presidente Roberto Occhiuto, un esponente di Forza Italia, ha votato un documento in cui si chiede una istruttoria preventiva per ogni materia oggetto di richiesta. Altri governatori e politici di centrodestra hanno fatto altre scelte per disciplina di partito e ora sono in grande imbarazzo. Alessandro Caramiello (M5S) se l’è presa con Giorgia Meloni, “la patriota che sta spaccando la nazione”. E ha chiesto. “per essere coerenti fino in fondo” che a questo punto si regionalizzi “anche il debito italiano”. Chiara provocazione. Riccardo Molinari, capogruppo della Lega, lo ha ribadito: “Questa riforma è un pilastro della maggioranza”. Non importa dunque se nelle procedure di intesa Stato-Regioni il Parlamento verrà estromesso. Se è previsto il finanziamento dei Lep ma dovrà essere rispettata l’invarianza finanziaria, che vuol dire tutto e il contrario di tutto. E ora? Si fermeranno? C’è chi dice che Calderoli ha in mente un blitz per andare al voto prima del 6 giugno e fare un regalo ai governatori del Nord. Per lui nulla è impossibile, è quello del Porcellum.


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