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Il premio Nobel Carlo Rubbia

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Il nucleare, come fonte energetica pulita, ha trovato la benedizione della Commissione Ue. Ma è una scelta geo-politica che fa discutere e, come sempre, divide. Il nucleare di nuova generazione, le energie rinnovabili e le fonti fossili. Del presente, ma soprattutto del futuro energetico che attende l’Italia parliamo con il professor Carlo Rubbia, Premio Nobel per la fisica nel 1984, ex direttore del Cern e dell’Enea, accademico e senatore a vita.

Vede ancora il nucleare nel futuro dell’Italia?
«Anzitutto va detto chiaramente che il nucleare oggi produce in tutto il mondo meno del 6% dell’energia primaria. L’Agenzia internazionale dell’energia ipotizza una perdita del 25% della capacità del settore entro il 2025 e di 2/3 dell’ammontare globale entro il 2040. Sicché nel 2040 il comparto dovrebbe generare 90 GW annui rispetto ai 280 GW prodotti nel 2018».

Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima: tre incidenti che rivelano la pericolosità del nucleare.
«Non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo. L’energia da fissione nucleare è basata principalmente sull’uso dell’uranio, con la produzione per milioni di anni di grandissime quantità di scorie altamente radioattive e per le quali manca ancora una soluzione accettabile».

Eppure, dagli Stati Uniti all’Europa e ancora più nei Paesi emergenti, c’è voglia di nucleare. È un errore?
«Sa quand’è stato costruito l’ultimo reattore negli Stati Uniti? Nel 1979, trent’anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20%. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l’arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro, che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l’uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie».

Si parla di centrali nucleari a fissione e a fusione. Qual è la differenza?
«La fissione nucleare è un fenomeno fisico estremamente importante al giorno d’oggi, perché consente di ottenere energia molto più pulita rispetto a quella prodotta dai combustibili fossili. Attraverso questo processo, il nucleo di un atomo appartenente a un elemento chimico pesante viene frammentato in nuclei di atomi dalle dimensioni inferiori. Quando ciò avviene, si sprigiona una grande quantità di energia poiché i nuclei più leggeri che risultano dalla fissione hanno masse che, se sommate, sono inferiori a quella originaria. La fusione termonucleare, invece, è il fenomeno per cui due atomi leggeri (tipicamente isotopi di idrogeno) si fondono per formare un atomo più pesante. La differenza con la fissione nucleare, che produce energia nelle attuali centrali elettronucleari, risiede nel fatto che quest’ultima produce energia dalla fissione (rottura) di atomi pesanti (tipicamente di uranio, plutonio o torio) in atomi più leggeri. Si è molto parlato di sostituire la fissione a lungo termine con processi diversi basati sulla “fusione” a partire da elementi a basso numero atomico. Tuttavia, l’alternativa della fusione basata sul deuterio + trizio + neutrone non risolve il problema in quanto i neutroni produrrebbero quantità ancora maggiori di scorie».

Esiste un’alternativa?
«Sì. Una possibile alternativa alla fissione attuale è rappresentata dall’uso del torio (un elemento chimico radioattivo, ndr) al posto dell’uranio. Il reattore all’uranio può essere sostituito in maniera relativamente semplice con un reattore al torio. Anche se la radiazione prodotta inizialmente e quella dovuta ai prodotti di fissione sono confrontabili ed estremamente elevate, la vita media delle scorie è molto più breve e permette ad esempio di ritornare alla radioattività iniziale del torio (quale era prima dell’uso) dopo un tempo di meno di mille anni invece di centinaia di migliaia come nel caso dell’uranio».

Il futuro è delle rinnovabili?
«In aggiunta alle energie rinnovabili classiche, come ad esempio l’idroelettrico e la biomassa, nell’opinione di molti il futuro sarà concentrato su un possibile ruolo dominante dell’eolico e del solare. Vorrei qui ricordare che queste alternative sono, da un lato, disponibili in maniera aleatoria (solo quando c’è vento o sole) e, dall’altro, richiedono generalmente elettricità non facilmente trasportabile su grande scala, come avviene con il petrolio e non permettono inoltre un sistema intermedio di accumulo di dimensioni adeguate e a un costo ragionevole».

Le fonti energetiche rinnovabili potrebbero convivere con quelle fossili?
«Le energie rinnovabili, anche se si stanno sviluppando rapidamente e stanno richiedendo cospicui investimenti, non potranno arrivare a sostituire interamente le fonti energetiche fossili (petrolio, gas, carbone, ndr). Nuove forme di combustione sono infatti possibili, specialmente con il gas naturale con l’eliminazione completa della CO2. Ci sono validi motivi per sviluppare anche in questo campo una adeguata produzione industriale. I fossili, senza emissioni di CO2, e le rinnovabili sono preferibili alla fissione nucleare attuale che non sembra in grado di mantenere costante neanche il suo modesto livello odierno. Qualora comprovata da ulteriori esperimenti, questa potrebbe divenire a lungo termine un’opzione vincente».

È quindi possibile una combustione pulita a costi accettabili?
«Sì. Il gas naturale – di cui esistono immense quantità disponibili, ma largamente inutilizzate, come ad esempio gli shales e i “clatrati” -è prevalentemente metano con formula CH4. La combustione energetica del gas naturale produce acqua, ma anche anidride carbonica (CO2) che rimane diffusa nell’atmosfera con sostanziale aumento crescente della temperatura ambientale. Nuovi processi sono sviluppati su vasta scala industriale in Brasile, che oggi fornisce a partire da etanolo il 18% del carburante automobilistico, e negli Stati Uniti, da biomassa e come alternativa al petrolio. Abbiamo recentemente dimostrato con successo che è possibile trasformare il gas naturale direttamente in idrogeno a temperatura ragionevole – dell’ordine di 1.000 °C – mentre il carbone rimane allo stato solido ed è un materiale largamente utilizzabile. A sua volta l’idrogeno può essere combinato con della CO2 già prodotta al fine di ottenere un liquido trasportabile di vasto uso, come, ad esempio, metanolo o etanolo, la cui successiva combustione recupera tutta la CO2 così investita. Si ottiene in questo modo una combustione assolutamente pulita a partire dal gas naturale a costi accettabili».

Come vede il futuro dell’energia?
«Il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l’uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, lo stesso vale per l’oro, il platino o il rame. Non possiamo continuare a elaborare piani energetici in base a previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra».


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