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Teresa Timpano

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CATANZARO – «Arrivo per la prima volta a Catanzaro e sono contenta di essere al Comunale». Queste le parole di Teresa Timpano, attrice reggina e premio Giovani realtà del teatro 2014, protagonista di “Penelope”, il penultimo spettacolo della stagione teatrale 2021/22 di AmaCalabria.

In scena questa sera alle 21 al Teatro Comunale, lo spettacolo prende il nome dalla protagonista, moglie di Ulisse, che ripercorre le più atroci conseguenze dell’amore. Prodotto da Scena Nuda – Festival Miti Contemporanei e Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, è diretta da Matteo Tarasco. Timpano racconta la forza di un personaggio che lancia al pubblico la sfida di spogliarsi di ogni maschera.

Penelope vuole riappropriarsi della verità oltre lo specchio. Quanto siamo lontani da questa consapevolezza?

«Siamo molto lontani. Viviamo in un territorio molto mascherato, con la paura dei propri sentimenti e di chiedere scusa. Con questo spettacolo cerchiamo di aprire un mondo emotivo al pubblico, mostrando con forza la profondità e la verità di questa donna, che conduce verso l’apertura della società impaurita. Lo vediamo negli affetti, nell’amicizia, ormai servono mediatori continui perché siamo bloccati e chiusi. Il nostro scopo, come teatro contemporaneo, è di entrare nel cuore del pubblico e possiamo farlo attraverso la vicinanza reale, riprendendo i miti in maniera innovativa, poiché le opere greche lavoravano sulla società del tempo, ma è importante rielaborare e rivisitare quei temi che sono attuali».

In che modo ha scelto di lavorare sul personaggio di Penelope?

«Non mi calo in un personaggio, ma lo costruisco attingendo da Teresa, che rimane lucida come artista e come persona. Lavoro su un personaggio attraverso le azioni. Il teatro contemporaneo vuole scostarsi dall’immedesimazione, non crediamo più in una recitazione formale come negli anni ‘50, ma il pubblico rimane agganciato emotivamente quando il personaggio è imperfetto. È importante trovare delle connessioni, ma è fondamentale capire che il teatro è una costruzione credibile, non è la vita. È un comportamento cosciente dell’attore, con rimandi a ciò che si può comprendere. Attraverso le motivazioni e i conflitti si costruisce un personaggio e oggi dobbiamo legarci al presente, senza restare fuori dal contesto in cui viviamo».

Qual è la reazione del pubblico innanzi alla sfida proposta da Penelope?

«Dopo lo spettacolo ci è capitato che qualche spettatore si rendesse conto di voler agire nei confronti di una situazione ed è pazzesco. È la vera catarsi. Il pubblico ha sempre reagito bene al nostro input di creare una relazione empatica con quello che accade. Penelope è un personaggio che racconta una donna che mette sé stessa nelle azioni e nelle parole. È il punto di vista della donna con il suo uomo, in varie modalità, sia d’ammonimento che di comprensione e questo il pubblico lo avverte».

Si avverte la mancanza di un centro di formazione per i giovani attori calabresi?

«Trovo fondamentale che la formazione teatrale debba avvenire fuori dai propri contesti, perché dev’essere libera e devi svuotare tutto il sacco e rimettere dentro da capo. È il primo passaggio che si fa in accademia e ci mette in una posizione migliore di ciò che si pensa. Il nostro vero svantaggio è che, qui ancora, non si considera un mestiere fare l’attore. Il territorio ci permette di essere un punto di partenza per i giovani, prima di andare in accademia. Io ho studiato a Udine, mi sono specializzata in Emilia Romagna e posso dire che tutte le regioni hanno grandi problemi, perché è il contesto italiano ad essere un problema. Qui c’è meno concorrenza rispetto alle grandi città, è un territorio da arare, ma facciamo un lavoro serio e competitivo, con il vantaggio di essere pochi. Per quanto riguarda l’offerta, è un grave problema che sia molto molto bassa. Speriamo negli anni di essere noi un presidio vero che possa offrire spettacoli ogni settimana».

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