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POTENZA – Un «uomo di fiducia», che lo accompagnava agli incontri “di lavoro” con gli zingari. Avvistato dai finanzieri mentre si aggirava attorno al posto di blocco piazzato sulla 106, in attesa di un corriere in arrivo dall’Albania con 12 chili di eroina. 

Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro Gerardo Schettino, alias «zic», non era l’unico riferimento a Scanzano Jonico del clan guidato da Filippo Solimando, policorese da tempo residente a Corigliano, e Luigi Abbruzzese, figlio del boss Francesco alias “dentuzzo”, che anni prima aveva cooptato Solimando tra i suoi fedelissimi. 

C’era anche un pasticcere: Nicola Lo Franco. «Nic» nei messaggi intercettati tra il boss Luigi Abbruzzese e il suo ponte umano con l’ex carabiniere di Viggianello, indagato per traffico internazionale di droga. 

Lo Franco, 49 anni, è una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie. Nel 2007 era stato arrestato assieme ai fratelli Mitidieri e a Giuseppe Lopatriello di Policoro nell’ambito dell’ultima maxi-inchiesta dell’antimafia lucana sulla mala del litorale. Un’inchiesta partita anni prima seguendo alcuni giri di cocaina, che avrebbe portato ai presunti eredi del regno criminale degli Scarcia: estorsioni, relazioni pericolose con la migliore società, locali notturni usati come centro di smistamento di giovani ragazze, e persino un piano per uccidere il capitano dei carabinieri che si stava occupando del caso, Antonio Zacheo. 

All’epoca l’inchiesta passò quasi subito in secondo piano perché da Catanzaro irruppe il pm Luigi De Magistris che due giorni dopo il blitz sequestrò il villaggio turistico Marinagri. Anche il pm che aveva coordinato le indagini dei carabinieri di Policoro, Felicia Genovese, finì nel calderone delle “toghe lucane”. Salvo uscirne scagionata anni dopo come tutti gli altri. 

Intanto il Riesame di Potenza aveva liberato i Mitidieri, Lopatriello e Lo Franco. E nel 2011 è arrivata la sentenza di non luogo a procedere. Intercettazioni inutilizzabili. E a parte queste troppo poco persino per andare a giudizio. Quindi il proscioglimento perché «il fatto non sussiste».

Lo Franco avrebbe commentato quella decisione scrivendo una lettera al Quotidiano della Basilicata in cui raccontava di sentirsi «agnello sacrificale di guerre tra giudici» e si scagliava contro l’antimafia potentina accusata di voler «distogliere l’attenzione» dalle indagini di Catanzaro. 

Ma a distanza di altri 3 anni è proprio dal capoluogo calabrese che riaffiorano sospetti sul suo conto. 

Lo Franco non compare tra i 45 nomi sul frontespizio del decreto di fermo spiccato lunedì scorso, dove invece c’è quello di Schettino. Né tra quelli dei 33 destinatari, tra i quali figurano i fratelli Filippo e Giacomo Solimando di Policoro, l’«alter ego» del secondo Giambattista Serio, sempre di Policoro, e un albanese residente a Bernalda.

Eppure gli inquirenti lo indicano tra i soggetti «schedati» dai finanzieri e si soffermano più volte sul suo ruolo. 

«Uomo di fiducia di Schettino Gerardo, accompagnava in molteplici occasioni proprio quest’ultimo ai vari appuntamenti che dovevano intrattenere con la compagine zingara di Cassano allo Ionio». 

A riprova di quanto affermato ci sarebbero diversi rapporti dei finanzieri della compagnia di Policoro che per mesi hanno monitorato di nascosto quegli incontri «nella zona di Nova Siri». Ma soprattutto un episodio avvenuto a marzo del 2014, quando i militari avevano già messo sotto controllo telefonini e smartphone di Abbruzzese, Schettino e del loro fornitore albanese di eroina. 

I militari sapevano del carico in arrivo con destinazione Scanzano e Corigliano. Per questo si erano preparati a “riceverlo” sul tratto lucano della 106. E hanno registrato anche l’allarme scattato all’improvviso quando il referente lucano del clan si è accorto che qualcosa non andava. 

«Schettino, alle 9.47, mandava un sms a Pavone (Antonio, l’uomo che faceva da ponte tra l’ex carabiniere e Luigi Abbruzzese, ndr) col quale chiedeva del corriere e segnalava la presenza di posti di blocco dei finanzieri nei pressi del luogo in cui era avvenuto l’arresto di Danilo Ferraro». Altro corriere fermato il mese prima con 2 chili di eroina. 

«Alle 10.06, Schettino precisava a Pavone che i finanzieri non avevano fermato nessuna auto sebbene stessero pattugliando le strade». 

Una trappola insomma. Solo che a quel punto il corriere non poteva più essere fermato. «Non rispondeva al telefono». Al che Pavone avrebbe aggiornato Abbruzzese, e di rimando sarebbe partito l’ordine a Schettino di verificare se era stato già arrestato. 

Schettino avrebbe dovuto effettuare «una sorta di perlustrazione» passando anche «davanti la caserma della Finanza». Poi si sarebbe allungato verso il posto di blocco dei finanzieri assieme a Lo Franco.

«Un’autovettura Fiat 500 di colore bianco, rallentava la marcia con fare sospetto proprio nelle prossimità del punto di controllo. Lo stesso Schettino, per come si rileva dalle celle agganciate dal suo cellulare, era alla guida dell’auto a bordo della quale i finanzieri riconoscevano Lo Franco». 

«Il coinvolgimento di Lo Franco», sempre secondo gli inquirenti di Catanzaro, spiegherebbe anche il motivo degli appuntamenti nei dintorni del suo bar di Nova Siri Scalo. Come quello fissato poche ore dopo il sequestro dell’eroina in arrivo dall’Albania, quando Schettino sarebbe andato a Taranto per trattare una fornitura “di ripiego” anche per conto dei cassanesi. Solo che a Taranto avrebbero preteso il pagamento in anticipo della merce, e Schettino non aveva soldi a sufficienza con sè. 

«Gli dico di farli venire a prendere da nic i soldi». Propone allora Pavone ad Abbruzzese. Dove «da nic» andrebbe inteso come al bar di Lo Franco. Poi Schettino avrebbe preferito una piazzola sulla 106. «Il giorno seguente, per come si evince da una serie di conversazioni, Luigi (Abbruzzese, ndr), Pavone e Schettino si incontravano». 

In seguito l’ex carabiniere sarebbe riuscito a far perdere le sue tracce. 

E 4 giorni più tardi la droga, 3 chili di eroina, sarebbe arrivata con successo a destinazione.

l.amato@luedi.it

 

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