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Serve l’idea forte della Nuova Europa con l’Italia protagonista in prima linea, con Draghi oggi come allora De Gasperi, che deve funzionare da spartiacque perché vissuta per quello che è la prospettiva di un mondo nuovo solidale che dà un futuro ai nostri giovani, che rompa il fronte opposto degli egoismi miopi dei sovranismi nazionali di tutti i colori e con i suoi mille gattopardismi. Nel Dopoguerra l’Europa dovette ricostruirsi sulle macerie di quello che era stata e che era diventata. Oggi deve riflettere su quello che ha accumulato negli anni d’oro e deve essere capace di metterlo a frutto. In Italia siamo sempre a cercare il centro come somma di partitini, ma in realtà anche con la Dc c’era il problema della terza forza. Prendiamo atto che siamo ancora oggi un Paese di tribù e di lobby e nessuna di queste e dei loro capi vuole federarsi in un sistema dove non può più dettare le sue condizioni. Non sembra esserci quel contesto che ha permesso al primo Macron di attuare un progetto simile, c’è un tema irrisolto di leadership che deve essere riconosciuta da tutti

Siccome in questo Paese a ogni tornata elettorale, anche al secondo turno delle amministrative di ieri, sembra che si debba cambiare il mondo calpestando ogni interesse nazionale in una ricerca tanto affannosa quanto inutile di questo o quel voto strappato con l’ultima promessa demagogica, allora forse è bene fare una riflessione su un presunto moderatismo italiano e i ricorrenti disegni di centro e centrini.

Bisogna essere molto onesti perché la congiuntura internazionale bellica e economica con i mercati che scommettono sulla recessione certa americana e probabile europea se si esita ancora su gas e petrolio non consente fughe dalla realtà ancorché molto rievocate dai soliti media del rumore italiano. C’è un leader riformista del Pd che è in grado di trascinare tutti su qualcosa non di riunire molte fazioni espressione di qualcosa di molto differente tra di loro per continuare a fare poi nulla o poco?

Ci sono condizioni analoghe nel centrodestra per cogliere se non altro qual è la direzione destinata a prevalere se quella al momento minoritaria saldamente ancorata ai valori europeisti o quella oscillante come un pendolo quotidiano tra pulsioni populiste e moderatismo di maniera? Ci sono le ragioni di contesto che possono fare ripetere il primo esperimento francese di Macron? Francamente, non mancano individualità importanti con forti esperienze di governo alle spalle, come Renzi e Calenda, che sembrano peraltro in modo diverso maturati, ma mai esenti da tentazioni di affermazione molto legate alla propria personalità. Ci sono i Toti, i Brugnaro, il più bravo di tutti a giocare queste carte che è l’intramontabile Mastella, c’è l’esperienza competente di Tabacci.

La scissione di Di Maio è un’altra cosa ancora e esprime il senso compiuto di un cammino che parte dal movimentismo populista ed è in grado di fare i conti con le sue contraddizioni dopo anni di esperienza di governo. La verità, però, è che non sembrano esserci quelle condizioni di contesto che hanno permesso al primo Macron di attuare un progetto simile, c’è un tema irrisolto di leadership che deve essere riconosciuta da tutti. Siamo sempre a cercare il centro come somma di partitini, ma in realtà anche con la Dc c’era il problema della terza forza. Prendiamo atto che siamo ancora oggi un Paese di tribù e di lobby e nessuna di queste e dei loro capi vuole federarsi in un sistema dove non può più dettare le sue condizioni. La Dc ci era riuscita perché la Chiesa la aveva coperta e perché ce ne era per tutti con la Ricostruzione. Appena finita questa duplice particolare situazione la cosa è andata a rotoli. Quello che ancora oggi blocca lo sviluppo del sistema politico italiano e non consente di fare un partito di sintesi è la non riproponibilità di quella situazione storica. Che era o il principio cattolico della Dc o quello del Pci “siamo tutti lavoratori delle braccia e della mente della sinistra in genere”.

Erano due principi forti che erano riusciti a tenere insieme una pluralità di tribù. C’era, da una parte, l’idea che se non ci salviamo insieme ci distruggono perché i capitalisti fanno quello che vogliono e, dall’altra, si sentiva il grido di allarme opposto “facciamo fronte comune se no arrivano i comunisti”. Capi e capetti di oggi e di ieri hanno capito che ognuno di loro se la può cavare negoziando di qua e di là e questo ha sconvolto il sistema politico italiano producendo macerie in termini di crescita ventennale da fanalino di coda europeo e di aumento scandaloso delle diseguaglianze sociali e economiche. In questo contesto generale accade un piccolo miracolo italiano. Per cui chi parte dai gilet gialli se ne va dai Cinque stelle dicendo che non è vero che uno vale uno.

Questo significa, da un lato, che c’è una narrazione nuova che messa alla prova può dare delle sorprese. Una parte dei Cinque stelle si è buttata lì per trovare uno spazio e continua a fare finta di credere ai pifferai del nulla che non sono cresciuti e neppure vogliono che ciò avvenga. C’è poi una parte dei Cinque stelle che, a vari livelli, con cariche di governo e istituzionali, otre a Di Maio, da Sileri a Spadafora fino alla Ruocco, è cresciuta insieme ai problemi con cui si misura quotidianamente. C’è una revisione autocritica su alcuni contenuti e alcuni comportamenti che sarebbe sbagliato sottovalutare. Quanti degli uomini politici della classe dirigente degli anni Ottanta, a partire da D’Alema, erano degli ex sessantottini.

Per questo quello che è accaduto con Di Maio è degno di attenzione perché dimostra di avere capito molte cose e di non avere più voglia di nascondersi dietro un’ambiguità alla lunga insostenibile. Si riesce a capire tutto ciò e si dimostra che esiste un paese vitale che è capace di prendere i barricaderi, più o meno esuberanti, e li trasforma in risorse del Paese. A differenza del bambino politico della nuova Europa che fa fatica a crescere soprattutto sulla capacità di governance e sulle decisioni economiche comuni, e di una Bce che oscilla perché vuole mettere insieme politicamente posizioni inconciliabili, noi abbiamo dimostrato che dalla pancia del Paese può uscire una classe dirigente matura addirittura anche se a mettere in moto tutto ciò è stato un comico di valore travestito da guru politico. Vuol dire che anche lì dentro c’era un nucleo buono e questo è quello che conta.

Se pensiamo a quello che fecero socialdemocratici e repubblicani contro Craxi e poi lo stesso Pertini sempre per impedire che avanzasse un riformismo socialista che poneva in discussione molti tabù e luoghi comuni, capiamo che la storia insegna molto sul peso di tribù e lobby in questo Paese. Eppure se non ci riusciamo ora a cambiare con tutto quello che hanno determinato e stanno determinando pandemia e guerra, allora siamo davvero spacciati. Serve l’idea forte della Nuova Europa con l’Italia protagonista in prima linea, con Draghi oggi come allora De Gasperi, che deve funzionare da spartiacque perché vissuta per quello che è la prospettiva di un mondo nuovo solidale che dà un futuro ai nostri giovani, che rompa il fronte opposto degli egoismi miopi dei sovranismi nazionali di tutti i colori e con i suoi mille gattopardismi.

Nel Dopoguerra l’Europa dovette ricostruirsi sulle macerie di quello che era stata e che era diventata. Oggi deve riflettere su quello che ha accumulato negli anni d’oro e deve essere capace di metterlo a frutto. Prendendo atto che in Paesi come l’Italia l’economia non è più in grado di produrre surplus a sufficienza per reggere questa cattiva redistribuzione della cui mancanza si rammaricano tutti.

Il sistema economico sta facendo miracoli e scommette sulle riforme di sistema del governo Draghi e sul peso che ha in Europa questa leadership per cambiare lì regole e modus operandi. Ora, però, servono riflessioni serie su salari e competitività dando forza sistemica a chi già si è mosso in questa direzione e bisogna farlo anche presto. Altrimenti, l’effetto boomerang tra aspettative alimentate, risultati ottenuti e percepito rovinoso da frastuono della politica e della tv della demagogia, può giocare brutti scherzi.


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