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POTENZA  –   Ricorre oggi il treantacinquesimo  anniversario di uno dei più terribili terremoti della storia d’Italia e il più grave degli ultimi 50 anni: è quello, di magnitudo 6.8 (nono-decimo grado della scala Mercalli), che la sera del 23 novembre 1980 colpì  la Basilicata e l’Irpinia provocando – secondo dati contenuti in atti parlamentari – 2.570 morti, 8.848 feriti e circa 300 mila senzatetto, distribuiti in 687 comuni.  Il complesso di interventi messo in campo per la ricostruzione e lo sviluppo industriale della aree colpite dal terremoto, per il quale lo Stato ha impiegato oltre 50 mila miliardi di lire (quasi 26 miliardi di euro), non ha sortito per intero gli effetti sperati: a 35 anni dal sisma, infatti, la ricostruzione del patrimonio edilizio non è ancora completata e in alcuni comuni le persone vivono ancora nei prefabbricati (ne furono montati oltre 26 mila). Lo sviluppo industriale si è realizzato solo in parte: delle aziende che hanno beneficiato dei contributi dello Stato, solo alcune sono in attività, altre hanno chiuso i battenti e sono fallite, altre ancora non hanno mai cominciato l’attività produttiva, con il risultato di un numero di occupati di gran lunga inferiore a quello previsto. In Basilicata emblematici i casi delle Sinoro di Tito, della Standartela di Sant’Angelo e della zona industriale di Baragiano.

di PIETRO SIMONETTI*

A TRENTACINQUE anni dal sisma del 1980, il Consorzio industriale della provincia di Potenza ha circa 40 milioni di euro di debiti, due binari ferroviari morti a Tito e Baragiano scalo, le cui storie progettuali ed esecutive varrebbe la pena attenzionare. Il primo doveva essere utilizzato al servizio del revocato Interporto   nella zona industriale di Tito, il secondo della omonima zona industriale di Baragiano, per le cui realizzazioni sono stati spesi oltre 5 milioni di euro. Sempre per il primo, quello di Tito scalo,  è stato realizzato per servire il nulla e quindi non poteva neanche essere collaudato perchè non fruibile. Il secondo quello di Baragiano scalo,  originariamente progettato come viadotto ferroviario sul fiume Marmo – Platano come collegamento tra la stazione di Baragiano scalo e l’area industriale, è stato completamente stravolto dopo aver espletato l’appalto, in  raccordo ferroviario e  tanto per aggiungere al danno la beffa non è stato neanche completato perchè le ferrovie non hanno autorizzato il Consorzio a collegarsi alla rete ferroviaria nazionale per insufficiente traffico ferroviario garantito. Non ci chiediamo neanche chi li abbia progettati e  approvati   e se l’esito funebre potrebbe interessare agli Enti preposti al controllo dello sperpero di denaro pubblico, ma di certo sono due chicche, due situazioni decisamente penose e intollerabili. Questo è il racconto dell’oggi, il passato è stato rappresentato più e più volte e riguarda per l’area del Potentino che per effetto dell’investimento di oltre 450 milioni euro, al netto degli interventi infrastrutturali di oltre un miliardo di euro, sarebbero dovuti essere garantiti oltre 6000 posti di lavoro ma ne rimangono 1600 circa. Altri 900 lavoratori affollano le liste della mobilità e disoccupazione. L’emblema dell’industria del terremoto, l’azienda cinese Sinoro,  12 milioni di finanziamenti vari, 130 lavoratori messi sul lastrico che fa bella mostra inutilizzata  mentre i macchinari fatturati circa 5 milioni sono in vendita per 500 mila euro, prenotati dall’azienda che li ha prodotti che ha offerto 600 mila euro mentre la nuova creatura-scatola cinese ha proposto in extremis 650 mila. Il tutto è accaduto e accade nel totale non vedere, non sentire, non sapere. E che dire dei 60  capannoni vuoti,  gestioni fallimentari ultra ventennali  o consulenti che come nel caso della Standartela hanno portato le apparecchiature in Asia o in Europa.  Tanto per rimanere in argomento negli gli ultimi tre anni il consorzio Asi ha bruciato 15 milioni di euro per perdite di esercizio. Sono maturati circa 10 milioni di debiti  nei confronti di Enel, nel mentre si concedevano a prezzi stracciati, per  impianti solari, terreni infrastrutturati di 10 ettari. L’indebitamento a oggi, assapora la bancarotta. Forse un solo consorzio  riuscirebbe ad andare oltre gli attuali 36 mila occupati, dei quali 20 mila nelle aree Asi del potentino, nell’industria della regione e dare spazio e futuro ai dipendenti e alle imprese a 35 anni dal sisma

*Presidente del Cseres

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