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Giorgia Meloni con Mario Draghi

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Il pasticciaccio sulle banche mette in dubbio il credito che il duo Meloni-Giorgetti ha accumulato agendo in continuità con la linea Draghi e va chiuso. Troppe figuracce, si segua Tajani e la si faccia finita. Il BTp a tre anni in asta ha toccato i livelli record del 2012 e non possiamo permetterci un nuovo rischio Italia. Anche perché abbiamo il debito che abbiamo e dobbiamo misurarci con una pioggia lunga che durerà almeno un anno e mezzo.

AVEVAMO avvisato in tutti i modi dal primo momento chi ci governa. Il pasticciaccio sulle banche è un colpo di sole di mezza estate che può fare molto male a questo Paese perché mina la fiducia dei mercati sui titoli sovrani italiani e mette in dubbio il credito sottostante che il duo Meloni-Giorgetti aveva di suo accumulato rispetto a investitori globali e istituzioni europee agendo in sostanziale continuità con la linea Draghi in tema di finanza pubblica e di politica economica di sviluppo al netto di qualche indulgenza di troppo verso l’area di maggiore evasione fiscale del Paese che si raggruma a grappoli intorno alla cosiddetta partita Iva allargata. Avevamo detto chiaro e tondo che non si annuncia senza il ministro dell’Economia un provvedimento di tassazione di presunti extraprofitti arrivando a dichiarare e scrivere di volere incidere fino al 25% del patrimonio netto dando un sapore nettamente venezuelano all’intero provvedimento.

Il guasto reputazionale prodotto all’istante è stato così rilevante da costringere il ministro dell’Economia a emettere un comunicato stampa in cui si parla esplicitamente di rischio di stabilità finanziaria del Paese e a indicare che l’ammontare dell’imposta straordinaria “non eccederebbe in nessun caso la quota dello 0,1% delle attività totali relative all’esercizio finanziario precedente a quello in corso”. Come dire: si passa da un tetto massimo (boom!) fino al 25% del patrimonio netto a quello microscopico dello 0,1% dell’attivo lordo che per il solo confronto tra i due numeri abbatte in automatico un pezzo enorme di credibilità internazionale dell’Italia. Per tutte queste ragioni dicemmo allora e ripetiamo oggi che, come lucidamente sostiene dal primo momento il vicepremier Antonio Tajani che ha sensibilità sui meccanismi internazionali, prima la Meloni fa le sue scuse pubbliche e chiude l’infortunio meglio è. Perché non è più tempo di doppio registro: parlo alla pancia degli elettori dicendo che tasso le banche per ridurre le tasse e nascondo che le banche aumenteranno le commissioni su conti correnti, prestiti e mutui che loro pagheranno e rassicuro allo stesso tempo l’Europa dicendo che la solidità delle banche è salva perché la patrimoniale sarà mini-mini.

Purtroppo, non funziona così. Perché, come opportunamente ci ricorda la Bce nel suo parere inviato ieri a Roma, “questa imposta straordinaria crea un quadro fiscale incerto e può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario» ed è assodato che incide sulla fiducia nei confronti dell’Italia che è stata il motore del secondo miracolo economico italiano dovuto a una guida salda e riconosciuta nel mondo di politica economica e a un patrimonio di credibilità internazionale personale di Mario Draghi che è stato per l’ennesima volta solennemente confermato dall’incarico ricevuto ieri dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen di stilare un rapporto sulla produttività. Si sceglie Draghi e si chiede aiuto a lui perché è stato l’uomo che è passato alla storia per avere salvato l’euro e è una delle prime grandi menti economiche dell’Europa intera. Perché è Draghi. Queste oscillazioni del governo italiano tra piena coerenza con il solco tracciato da Draghi e rigurgiti più o meno nascosti di populismi non solo di impronta salviniana non sono più possibili. Ieri si sono registrati rendimenti dei nostri titoli sovrani in forte rialzo, con il record da oltre dieci anni messo a segno in asta dal BTp triennale, che ha addirittura fissato il nuovo record dal 2012, che è a sua volta l’anno di massima allerta della grande crisi dei debiti sovrani esplosa nel 2011.

Vogliamo solo dire che, essendo stati i primi ad avere parlato di un rischio Italia sottovalutato e comunque recuperabile, oggi riteniamo di essere più legittimati che mai a dire che non si scherza più. Anche perché lo spread veleggia verso i 180 punti e il tasso del BTp decennale è salito fino al 4,44%. Ogni giorno goccia dopo goccia il fiume carsico della perdita di credibilità italiana si allarga sospinto da variabili esterne come inflazione americana al top e incertezza su Bce e tassi che non si può contenere, che si cumulano al problema strutturale interno del nostro maxi debito pubblico.

Chiariamoci ancora meglio. La Germania può andare tranquillamente in recessione senza sforare i conti pubblici e creare allarme internazionale. L’Italia con il debito pubblico al 142,1% del prodotto interno lordo è agganciata alle prospettive di crescita per rimborsare il suo debito molto più della Germania che ha un problema serio con le sue imprese e con suoi lavoratori e che deve ancora capire se il problema è congiunturale o, come pensiamo noi, strutturale a causa del nuovo quadro geopolitico, ma che in entrambi i casi non sveglia l’allarme degli investitori sulla sostenibilità di un debito che è il più virtuoso di tutti i debiti sovrani a livello mondiale. Se noi facciamo uno 0,2% di Pil in meno il debito non lo controlliamo più e ripartono spread e rendimenti che significano più spesa per interessi.

Per farla breve, torniamo ad essere come lo siamo stati sempre, tranne nella stagione Draghi, il problema dell’Europa. Un raffreddore per un giovane in buona salute è un raffreddore e anche se diventa bronchite si affronta. Un raffreddore per chi è avanti negli anni e ha già una polmonite può determinare effetti gravissimi. Non possiamo continuare con le letture auto-assolutorie e se, come par di capire, la Bce prevede un’inflazione al 3% anche al 2025, è evidente che si moltiplicano le possibilità di un rialzo dei tassi da oggi con tutti gli effetti depressivi collegati che la politica monetaria determina sull’andamento del Pil italiano nei prossimi diciotto mesi. È importante avere almeno contezza che dobbiamo fare la traversata del deserto italiana perché dobbiamo misurarci con una pioggia lunga che durerà almeno un anno e mezzo. La storica debolezza strutturale italiana fa sì che la gelata arriva e noi ci troviamo a dovere fare i conti con margini fiscali ridotti. Non è il singolo trimestre a impaurire, ma il contesto.

Giorgia Meloni, parlando ai suoi, ha detto una cosa molto vera: se pensate che quest’anno sia stato difficile, non avete visto ancora niente. La Meloni ovviamente si riferiva ai traffici interni della politica italiana e alle sue armi meno nobili. La stessa frase sarebbe di certo più efficace se legata all’economia e ai conti della finanza pubblica. Perché è su come orienterà la politica economica oggi Giorgia Meloni che si gioca il suo futuro dei prossimi diciotto mesi. Perché come è già accaduto per gli anni passati, se i tassi continuano a salire l’effetto negativo si sviluppa e si completa nei successivi diciotto mesi. Quindi noi stiamo già facendo i conti con il rialzo dei tassi e sappiamo in partenza che non torneremo mai più alla lunga stagione dei tassi zero che per quasi dieci anni ci ha permesso di convivere con la lunga stagnazione italiana. Abbiamo potuto, sbagliando, fare così a lungo perché i tassi erano a zero. Questo oggi non è più possibile. Domani pure. Dopodomani anche.


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