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È IL FIORE all’occhiello dell’agroalimentare italiano, il prodotto che fa schizzare l’Italia al primo posto tra i produttori mondiali: è la pasta la regina del made in Italy agroalimentare dell’export. Con una produzione di 3,6 milioni di tonnellate nel 2022 e un fatturato di circa 7 miliardi, il nostro Paese guida la classifica dei big del settore che, complessivamente, producono in tutto il mondo, secondo i dati elaborati da Unionfood, 17 milioni di tonnellate. E sono di tutto rispetto anche i dati dell’export, che in 25 anni è aumentato del 210%, +4,5% sul 2021, visto che oggi più della metà della pasta nazionale finisce nei piatti dei consumatori di tutto il pianeta: particolarmente ricettivi sono i tedeschi, gli inglesi, i francesi, gli americani e i giapponesi. Ma si tratta anche di un alimento super gettonato in casa, dove il consumo pro capite medio è di 23 kg.

IMPENNATA DEI PREZZI DELLA PASTA

Insomma, sono tanti i motivi per festeggiare questo prodotto, e ieri infatti è stata la Giornata mondiale della pasta. Quest’anno, però, la festa è stata appannata dalla situazione generale che sta creando molti problemi alla filiera. Perché quella del grano-pasta è la filiera per eccellenza, un percorso (quasi) netto dal campo alle confezioni in vendita sugli scaffali. Il 2023 è stato un anno orribile per l’impennata dei prezzi del cibo e, nella fase più critica, la pasta è diventata anche il simbolo degli aumenti fuori controllo dei prodotti alimentari. Non è un caso che, proprio per verificare eventuali speculazioni, il debutto del riattivato Mr. Prezzi sia avvenuto su questo prodotto. A maggio, infatti, denunciato dalle associazioni dei consumatori, è esploso il caro-pasta a fronte di un pesante calo della materia prima e cioè il grano duro. E così, se da una parte i pacchi di pasta in vendita lievitavano nell’export, gli agricoltori incassavano sempre meno. La flessione dei listini è proseguita.

Ad accendere i riflettori era stata Assoutenti che, oltre ad aver segnalato forti rincari non giustificati a fronte di prezzi ridimensionati della materia prima, aveva anche evidenziato un andamento differenziato nelle varie città. E proprio ieri un’analisi della Borsa merci telematica italiana sui dati delle Camere di commercio e delle Borse merci nazionali ha registrato nel periodo 16/20 ottobre una flessione delle quotazioni del grano duro dell’1,6% sul mese precedente e del 21,1% rispetto allo scorso anno, con un prezzo di 382 euro alla tonnellata. Giù anche la semola di grano, venduta a 639 euro, in calo dell’1,1% sul mese e del 21,7% rispetto al 2022. Un calo delle quotazioni che Borsa merci telematica italiana ha attribuito anche agli arrivi in Italia di grano duro estero, soprattutto dalla Turchia che quest’anno ha realizzato un raccolto super e che tra l’altro è favorita da prezzi competitivi per la svalutazione della lira turca.

AGRICOLTORI ALL’ANGOLO

Una situazione che rischia di allontanare gli agricoltori italiani dalla coltivazione. È scattato l’allarme in particolare in Puglia, il granaio nazionale, dove la Coldiretti regionale ha valutato riduzioni del 20%, con picchi del 60% nella provincia di Bari. A giocare contro innanzitutto il maltempo, ma anche i costi elevatissimi che gli agricoltori sono stati costretti ad affrontare, mentre il mercato li ha penalizzati con quotazioni insufficienti a garantire un reddito adeguato, calato del 40% rispetto allo scorso anno. Si assiste dunque a un paradosso: mentre, come sottolinea Coldiretti, è corsa alla pasta, e in particolar modo a quella realizzata con grano 100% italiano, in “casa” di materia prima si rischia di trovarne sempre meno. La richiesta dei consumatori per i pacchi di pasta è cresciuta in valore del 13% nei primi sei mesi dell’anno proprio grazie all’export.

Oggi 4 pacchi di pasta su 10 venduti utilizzano solo grano duro coltivato nei campi italiani. Una tendenza spinta anche dall’etichettatura, che obbliga a indicare la provenienza del grano duro, introdotta in Italia quasi dieci anni fa e inizialmente fortemente osteggiata da alcune industrie. Oggi, però, anche grazie a famosi brand che utilizzano l’origine come plus da vendere e da pubblicizzare, il consumatore è oggi più sensibile e orientato ad acquisti “patriottici”. Sulla scia della riscoperta dell’italianità sono stati anche rilanciati grani antichi come il Senatore Cappelli. Sono però anche aumentate le importazioni. Quest’anno la Turchia è in prima linea, ma lo shopping tradizionale interessa il Canada, dove, secondo la denuncia di Coldiretti, viene utilizzato in preraccolta il glifosato, un fitofarmaco che in Italia è vietato in queste modalità perché dannoso per la salute. Tra import e prezzi bassi, gli agricoltori italiani rischiano di finire nell’angolo, con incassi scesi mediamente del 25%, mentre la pasta nei primi nove mesi dell’anno è aumentata del 13%.

Per duecentomila imprese – è questo l’allarme lanciato dall’organizzazione agricola – il futuro potrebbe essere segnato, con il rischio di abbandono di 1,3 milioni di ettari e impatti pesanti sull’ambiente e sul contesto economico e sociale. La pasta, infatti, è da sempre considerato un alimento basico e soprattutto economico. E lo è ancora, ma scostamenti anche non rilevanti potrebbero avere effetti devastanti sui cittadini più poveri, sui quali l’inflazione, come ha sottolineato anche l’Istat nell’ultimo report sui prezzi al consumo, picchia più duro. Un trend preoccupante in un Paese dove aumenta l’esercito dei poveri.

IN 3,1 MILIONI ALLA FAME

Proprio oggi l’Istat presenterà i dati aggiornati sulla povertà. Va ricordato che, in base alle stime di Coldiretti pubblicate in occasione della recente giornata mondiale dell’Alimentazione promossa dalla Fao, ci sono 3,1 milioni di persone che hanno chiesto aiuto per mangiare. E a essere colpiti dall’indigenza sono anche i bambini di età inferiore ai 15 anni, che hanno raggiunto quota 630mila. Il disagio colpisce poi gli anziani, i senza fissa dimora e i migranti, il 23% dei quali non riesce a procurarsi neppure “il pane quotidiano”. E se ieri è stata la Giornata della pasta a indurre a queste considerazioni, non va meglio per un altro prodotto “povero”, il pane. Anche in questo caso, dal grano tenero alla pagnotta il prezzo è aumentato di diciassette volte.

A un agricoltore un chilo di grano tenero viene pagato 24 centesimi (-32% sul 2022), ma nei panifici i costi variano tra i 3 e i 5 euro, con rincari che possono sfiorare il 20 per cento. Intanto resta alta la guardia nella Ue sulla situazione dei mercati agricoli, pesantemente condizionati dalla guerra in Ucraina, che è uno dei principali produttori (ed esportatori) di grano tenero e di altre materie prime.


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