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Il tribunale di Vibo Valentia

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Finisce in una bolla di sapone il processo per la realizzazione della Tangenziale est, ad oggi ancora una delle incompiute di Vibo Valentia

VIBO VALENTIA – Si conclude in una bolla di sapone il processo avente ad oggetto i lavori alla tangenziale Est di Vibo. Opera viaria incompiuta che nel progetto iniziale avrebbe dovuto fungere da arteria in grado di bypassare soprattutto il traffico della Statale 18 che attraversa Vibo Valentia.

Dopo 12 anni dalla prima udienza, si è finalmente giunti alla sentenza di primo grado nei confronti dei 5 imputati: Leoluca Greco (avv. Giovanni Lacaria), geometra della Provincia, assistente di cantiere, direttore dei lavori per la messa in sicurezza della collina sovrastante la strada e autore del certificato di ultimazione dei lavori; Iginio Carmine Lista (avv. Sergio Rotundo), figura che ha seguito per conto dell’impresa “Lista Appalti” tutti i lavori della Tangenziale); Rocco Foti (avv. Salvatore Galluzzo) rappresentante della società “Consoter” di Messina, esecutrice dei lavori per la messa in sicurezza della collina sovrastante l’opera viaria; Maria Giovanna Conocchiella (avv. Donatella Garrì), dipendente della Provincia ed incaricata della redazione dei progetti relativi alla realizzazione della Tangenziale; e Gianfranco Comito (avv. Bruno Ganino), dipendente della Provincia, progettista della Tangenziale e Rup dal dicembre 1998 all’ottobre dell’anno successivo. Sono accusati a vario titolo, di disastro colposo, frode in forniture e falso ideologico.

Oggi il giudice monocratico di Vibo Roberta Ricotta ha pronunciato per tutti loro sentenza assolutoria con varie formule. Per Conocchiella, Comito e Lista per non aver commesso il fatto; per Foti e Greco perché il fatto non sussiste. Decisamente più celere era stata la magistratura contabile che aveva condannato il rup Francesco Teti, deceduto qualche anno fa, e Greco al pagamento rispettivamente di 2,8 milioni e di 315mila euro.

L’inchiesta denominata “Cassandra”, era scattata nel 2010. Scattò il sequestro ad opera della Guardia di finanza di Vibo – coordinata dall’allora procuratore Mario Spagnuolo e dal sostituto Santi Cutroneo – dell’opera viaria progettata addirittura più di 40 anni fa e, come detto, mai completata. A processo erano finiti in otto per poi, tra lutti e stralci, le posizioni sono rimaste quelle attuali.

Una striscia di strada di 2700 metri e larga 20 sulla quale negli anni si sono riversate colate di fango e pietre. I lavori di progettazione risalgono agli inizi degli anni ’80 con posa della prima pietra nel 1985. Fu la Provincia di Catanzaro a dare il via all’opera che avrebbe dovuto avere un ruolo di raccordo tra la provinciale che collega lo svincolo autostradale di Sant’Onofrio e la zona industriale (ex-aeroporto) di Vibo Valentia.

Lo scopo era di bypassare il traffico, specie quello pesante, dall’abitato del capoluogo. Ben presto si constatò che il territorio scelto e cioè il ripido declivio che dalla sommità della collina su cui si trova il castello Normanno-Svevo scende verso Stefanaconi, era poco adatto. Per questo i lavori subirono varie interruzioni. Anche per via di continue frane, smottamenti e dissesti (con connessi pericoli per la pubblica incolumità soprattutto per il sottostante abitato di Stefanaconi) che si verificarono. Ciò considerato che la conformazione idrogeologica del terreno non era adeguata all’opera.

Nel tentativo di mettere in sicurezza l’area nel 1997 venne sottoscritto un accordo tra la Provincia e i Comuni di Vibo e Stefanaconi. Seguirono altri accordi con vari enti, ma l’opera venne ritenuta non sicura dalla Procura di Vibo che ne dispose il sequestro il 26 aprile 2010. L’importo imponente dell’opera gravò per anni sulle casse della Provincia di Vibo e fu una delle principali cause del dissesto. Ad oggi l’opera è ancora incompiuta.

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