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Giorgia Meloni con Mario Draghi

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Siamo ancora i primi tra i cinque grandi Paesi europei dal quarto trimestre del 2019 a oggi, ma con il +0,7% del 2023 la crescita acquista di Pil per il 2024 è dello 0,1% e, cioè, niente mentre nel 2023 c’era l’eredità del biennio magico italiano (+12,3%). Per preservare il podio nel 2024/2025 il governo Meloni ora deve fare tutto da solo affinché le imprese tornino a investire e le famiglie continuino a spendere. Anche nelle costruzioni è giusto togliere la droga del Superbonus, ma non gli incentivi sostenibili che danno un ritorno fiscale in termini di gettito. Non basterà neppure il Pnrr se non torna la fiducia.

ANCORA una volta i profeti di sventura sono stati smentiti clamorosamente. La recessione italiana che in troppi profetizzavano non è nemmeno all’orizzonte. La fermata di cui tutti erano certi non è avvenuta. La complicazione del quadro geopolitico consente di giudicare come sostanziosa una crescita italiana dello 0,7% per il 2023, superiore per il terzo anno consecutivo alla media dell’eurozona che è dello 0,5%, salvo sorprese migliorative ancora possibili in sede di consuntivo che potrebbero portarla allo 0,8%. È un dato di fatto che il +0,2% del quarto trimestre 2023 rispetto al trimestre precedente e il +0,5% in termini tendenziali vanno confrontati con un’eurozona e perfino una Unione Europea che negli stessi tre mesi schivano sì la recessione tecnica, ma sono in stagnazione e mettono a segno una crescita pari a zero rispetto al trimestre precedente, quando già il Pil europeo era diminuito dello 0,1%. Il risultato finale è che la crescita annuale dell’eurozona e dei ventisette Paesi dell’Unione europea nel 2023 è stata dello 0,5% e, quindi, inferiore dello 0,2% rispetto all’Italia che chiude l’anno passato, secondo le stime preliminari per le quali – ripetiamo – non si possono escludere risultati migliorativi in sede di consuntivo, con un altro + 0,7% rispetto al 2022, a sua volta chiuso a +3,7%. Stiamo parlando del terzo anno consecutivo di crescita dopo il biennio del miracolo economico del governo Draghi (+12,3%) nonostante lo scoppio della guerra in Medio Oriente, l’orrore dell’attacco di Hamas a Israele, la contro reazione fuori da ogni proporzione che è un altro orrore nella Striscia di Gaza, la guerra del mar Rosso che può riaccendere la miccia dell’inflazione e presenta un conto salato specifico per il sistema portuale italiano. Tutto ciò avviene, per capirci, nonostante una serie di eventi internazionali non previsti che si cumulano alla guerra in Ucraina e che non possono non determinare un rallentamento globale per un Paese esportatore trasformatore e privo di materie prime come il nostro.

Detto tutto questo e chiarito che il recupero di dicembre con la fiammata della fine degli incentivi ha compensato il crollo del secondo trimestre del 2023, bisogna subito fare presente per onestà contabile che il risultato finale sconta una crescita acquisita dall’anno precedente, che è l’ultima eredità della scia del biennio magico della supercrescita dei circa due anni di governo Draghi, proprio dello 0,7%. Per essere chiari fino in fondo nel 2023 l’Italia partiva con questo vantaggio, mentre il 2024 inizia con una crescita acquisita dello 0,1% che non è niente e ciò significa che il risultato del 2024 il governo Meloni potrà portarlo a casa solo se farà davvero il massimo con gli investimenti del Pnrr, i crediti di imposta a favore delle imprese manifatturiere e gli incentivi sani per le costruzioni e, soprattutto, se attuerà una linea riformista concludente che aumenti il credito internazionale e trasferisca fiducia contagiosa alle famiglie e alle imprese italiane per sostenere consumi e investimenti.

Vogliamo essere ancora più chiari. I profeti di sventura prendano atto che sono al minimo di credibilità e tacciano almeno per un po’ visto che invece di arrossire, li vediamo già all’opera per esaltare i dati congiunturali nettamente migliori della Spagna e impercettibilmente superiori della Francia senza avere mai l’onestà di ricordare a tutti che la Spagna recupera ora a fatica ciò che con largo anticipo l’Italia ha già recuperato nel biennio draghiano e nel primo anno di governo Meloni rimanendo la nostra economia nettamente la migliore rispetto ai livelli pre Covid. Ovviamente senza nulla aggiungere, poi, sul tunnel recessivo davvero nero in cui è piombata la Germania che continua a esibire dati trimestrali negativi e che, certo, non aiuta la manifattura italiana.

L’interesse del Paese dovrebbe spingere tutti invece a capitalizzare l’evidente resilienza della nostra economia, ancora locomotiva europea, per dare forza politica alla ridiscussione di un inapplicabile nuovo patto dell’Europa frutto proprio delle miopie contabili e degli interessi elettorali di una coalizione di governo tedesca che vede franare il terreno sotto i piedi. Attenzione, però, per chi ci governa in Italia a non prendere subito coscienza che l’eredità di Draghi è finita per davvero e lasciarsi invece andare a facili entusiasmi. Sarebbero fuori luogo e controproducenti. Perché è vero che il rischio Italia oggi è pari a zero, la Borsa vola e i nostri titoli sono appetibili sui mercati, ma ricordiamoci almeno che continuiamo a pagare più interessi perfino dei greci per non parlare di Portogallo, Spagna e così via. Sono giudizi di mercato frutto di un racconto italiano sbagliato che esalta il debito pubblico e dimentica il surplus commerciale con l’estero che Spagna e Portogallo vedono solo con il binocolo, ma sostenere il nostro Pil e fare crescita vera anche in un contesto difficile è per l’Italia imperativo categorico visto l’alto debito pubblico.

Con questi numeri, in linea sostanzialmente con le previsioni della Nadef e migliori di quelle dei profeti di sventura, il governo italiano ora sa che non ha crescita acquisita su cui fare conto e che il futuro è tutto nelle sue mani dentro un mondo turbolento denso di incognite. Oggi siamo ancora i primi per crescita tra i cinque grandi Paesi d’Europa rispetto al quarto trimestre del 2019, ma per preservare il podio anche nel 2024/25 e consolidare nel mondo un percepito reale della nostra economia che è l’inverso di una storia ventennale da fanalino di coda bisogna lavorare sodo. Bisogna farlo per ricreare un clima di fiducia e fare tornare le imprese a investire nella manifattura. Anche nelle costruzioni togliamo la droga del Superbonus, certo, ma non togliamo gli incentivi sani, quelli sostenibili che danno un ritorno fiscale in termini di gettito. Non basterà, insomma, cosa di per sé non facile, neppure fare bene con il Pnrr se non torna la fiducia delle imprese che ora hanno bloccato gli investimenti e se non cresce quella delle famiglie che serve per tenere su i consumi. Bisogna che il Paese torni a credere in se stesso.


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