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Claudio Baglioni, tra gli ospiti del festival

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L’intervista ad Antonio Salvati, ideatore del festival che quest’anno ospiterà tra gli altri Claudio Baglioni e un processo a De Andrè


C’è un posto dove garantisti e manettari (qualunque cosa voglia dire), avvocati e magistrati, uomini di legge eruditi e giovani praticanti si ritrovano e si mischiano volentieri: il Festival nazionale del Diritto e della Letteratura Città di Palmi. Nell’occasione il teatro “Manfroce” si riempie, alberghi e B&b si animano, la spiaggia della Tonnara accoglie facce nuove e timidi bagnanti. Dal 17 al 21 aprile è in programma l’undicesima edizione, con il titolo “Ma che musica è il diritto”: e strada facendo, arriverà anche Claudio Baglioni.
Antonio Salvati, porticese da 23 anni a Palmi, ora giudice del lavoro a Reggio, è l’ideatore e ha l’aria di divertirsi molto. Anche se gli argomenti del Festival sono terribilmente seri, come ad esempio la sessualità nelle carceri. E davanti alla parola “cineforum”, è inevitabile una botta di nostalgia.

Dottor Salvati, come ha fatto?

«Palmi è un po’ un’isola felice con il suo Tribunale, c’è un rispetto reciproco dei ruoli. In più, questo è l’unico Festival del genere in Italia, gli eventi sono ospitati nelle aule del Palazzo di Giustizia, nella sala del Consiglio dell’Ordine degli avvocati. L’associazione che l’organizza – tutti volontari – va oltre le categorie, Ci sono anche psicologi, impiegati, funzionari…»

Le corporazioni viaggiano e si riuniscono separate: ognuno parla la sua lingua e in genere ci perdono i cittadini.

«Facciamo una operazione di divulgazione basata proprio sul linguaggio, per arrivare ai giovani, a quelli che non hanno studiato Legge. Non a caso il Festival è aperto a tutti, con un taglio mainstream, proprio perché dare ai cittadini la possibilità di farsi un’idea. Parafrasando Mourinho e il calcio, chi conosce solo il diritto, non sa niente di diritto. Quindi, prima di tutto, ci tocca parlare chiaro. E portare questi temi nelle scuole, con professori, avvocati, magistrati».

C’è una buona sinergia con le Università.

«Diritto e Letteratura è ormai una materia che sta nei più importanti corsi di laurea».

Quanti crediti?

«Questo dipende dagli Atenei, è quella che una volta si definiva materia complementare. Il fatto è che secondo noi la letteratura è strumento fondamentale per la formazione dei giuristi. Anzi arriverei a dire che serve soprattutto a noi».

Sta parlando dei magistrati?

«Si arriva alla professione molto giovani, con un deficit di esperienza e di vita. Un approccio letterario aiuta a far meglio il proprio lavoro. Il diritto non è una questione solo tecnica, si nutre di esperienza e conoscenza. Sono un giudice del lavoro, mai stato licenziato. Ma è importante che io capisca cosa prova un lavoratore, che succede nella sua famiglia. Questo lo apprendo anche grazie all’espressione artistica: i libri, le canzoni, le opere d’arte».

Quest’anno il tema è la musica, che si può improvvisare. Ma il diritto non è certo un processo creativo.

«L’applicazione di una legge è fatta anche di interpretazione, invenzione, rappresentazione. Siamo noi, con i mezzi e l’esperienza di oggi a trovare le risposte a una norma scritta più di settant’anni fa. E a costo di ripetermi, ci aiuta anche la letteratura».

Quindi il contrario dell’uomo chiamato cavillo.

«Noi giudici e avvocati facciamo semplicemente il nostro lavoro. Non è arbitrario cercare la norma che ci può aiutare. Dovremmo fare una class action contro Alessandro Manzoni, per il personaggio di Azzeccagarbugli, la diffidenza per la giustizia arriva perfino dai Promessi Sposi» (ride ndr)

Complimenti anche per i titoli: chiamare “La Carta canta” una sessione sulla Costituzione è anche una forma di sdrammatizzazione. Ma si può fare con la giustizia?

«Scherzare è molto serio, fra lo scherzo e il ridicolo c’è una certa differenza. Noi siamo per la leggerezza calviniana, che non è vacuità, anche su temi pesanti che cambiano e sconvolgono la vita delle persone».

Mi pare di notare nel programma una sedia vuota: manca la politica. Suppongo per evitare ingorghi e sforamenti.

«È un convegno scientifico, quest’anno il posto d’onore è riservato a Sabino Cassese: fra interpretazione musicale e giuridica, tratterà delle Variazioni Goldberg di Bach, variando s’intende. E lui fa politica, nel senso più nobile del termine. Il Diritto non è di destra né di sinistra, eppure di sicuro i giuristi ne danno una interpretazione politica, aggettivo peraltro bellissimo».

È mai successo che qualche magistrato abbia detto no alla partecipazione?

«No, mai. Anzi direi che c’è una certa richiesta e un buon seguito di pubblico. Non siamo la Varia né Sanremo, ma in termini di indotto, certamente portiamo qualcosa alla città di Palmi. I biglietti per Baglioni sono andati esauriti in 36 minuti».

“Uomini persi”: il cantautore romano parlerà di fragilità e ingiustizia sociale nelle sue canzoni, insieme al poeta e scrittore Michele Caccamo. Non era certo fra i più impegnati, ai tempi.

«L’idea è venuta proprio a Caccamo, che è un profondo conoscitore di Baglioni, un artista molto attento al tema della fragilità. E siccome niente accade per caso, faccio notare che siamo al ventennale della legge sull’amministrazione di sostegno. Prima c’erano strumenti troppo rigidi: c’erano solo i malati, gli interdetti. Invece la fragilità non è per forza una malattia. Lui ne discuterà, senza cantare. Ed è la prima volta che partecipa a un convegno del genere».

Anche quest’anno è in agenda un processo immaginario, che si svolgerà nell’aula bunker.

«Mi piace l’idea di portare in un luogo che ha visto tanta sofferenza e tanto dolore la bellezza e l’arte. Proprio nella sala intitolata ad Antonino Scopelliti, il magistrato ucciso nel ’91 a Villa San Giovanni».

A giudizio va “Bocca di Rosa”: lei sosterrà l’accusa; Peppe Barra, cantante e attore teatrale la difesa. Senza violare il segreto istruttorio, perché non le piace la canzone di De André?

«Da napoletano amo Barra ma la mia requisitoria punterà anche sulla sua versione della canzone. Accuserò “Bocca di Rosa” di furto d’amore, di aver appunto portato lo scompiglio in un paesino. Ma soprattutto contesterò la versione che De André dà dell’applicazione delle leggi».

“Un giudice con la faccia da uomo mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione” cantava.

«Ma la giustizia non è misericordia, è rispetto delle norme, con tutti i cittadini uguali davanti alla Corte».

La Calabria è un territorio difficile, dove pesano anche i vuoti di organico, dove si aspetta troppo tempo per avere giustizia. Che effetti ha un Festival del genere?

«Rispondo da non calabrese: ne ha almeno due, che riguardano anche me. Il primo: l’intristirsi per la sensazione di sorpresa di molti interlocutori che invito: ah, ma in Calabria si fanno anche cose del genere? Le vie del pregiudizio sono infinite. Poi scoprono che Palmi sta fra due aeroporti, vengono volentieri e magari si sorprendono. Il secondo è la nostra consapevolezza: basta veramente poco per fare bene questa manifestazione, superare gli ostacoli quotidiani con onestà e trasparenza, offrire appuntamenti utili alla collettività. Non abbiamo avuto paura di fare un’edizione sugli errori giudiziari: peraltro nel processo immaginario l’imputato era Ponzio Pilato, e mai condanna fu più discussa».

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