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POTENZA – Lina bella, affascinante e passionale. Perdersi nel castello di emozioni  e non avere affatto la voglia di uscirne e  immaginarsi al caldo in quelle stanze nobili, è parte di  quella dolce agonia che invade, chi tornato a casa non può smettere di pensare a lei, a Lina Sastri. Il cine-teatro Don Bosco di Potenza pienissimo  per il primo spettacolo della stagione 2013 – 2014 organizzata dal consorzio “Teatri uniti di Basilicata”   è inondato  da un boato fragoroso e devastante quando alla fine di circa due ore sulla  piéce “Linapolina” si chiude il sipario. E lei se ne va prima di farsi agguantare totalmente  dall’applauso finale, sfugge come un fiocco di neve in una mano calda. E si pensa a quando il sipario si  apre, quando come una fiamma al centro della scena,  tra ben otto musicisti divisi in due gruppi,  arriva lei: Lina Sastri, che domina -da donna vera -un vestito rosso che scopre le spalle e, prima di arrivare ai tacchi,  si divide in un spacco vertiginoso che, quasi come poesia, mostra le linee calde delle sue gambe, solo quando lei vuole, solo quando uno spettacolo curato alla perfezione lo richiede. 

Lina è tutto su quel palcoscenico, nulla nell’architettura dello spettacolo è lasciato al caso, tutto si muove solo se richiesto, l’ordine e la regola diventano i pilastri una  bellezza profonda. “I’ te vurria vasà” , “Era de maggio”, “Core n’grato”  diventano la spiaggia e il mare di Napoli  ed hanno un sapore intenso e fresco come se fosse la stessa salsedine di quelle curve d’acqua da dove secondo la leggenda  la sirena Partenope arrivò. Quelle canzoni classiche napoletane quindi arrivano in modo diverso, come se fossero appena state scritte un po’ come il mare che muovendosi  appare sempre diverso, ma in realtà è sempre lo stesso. Dominatrice, ammaliatrice ma anche incredibilmente dolce, Lina Sastri commuove nelle poesie che lei stessa ha scritto: “non so a cosa porterà questo mio tempo, che è come una domanda di un bambino, a che serve la vita se non hai qualcuno con cui dividere la felicità”;  metafore vissute che aprono finestre nella mente del pubblico che a tratti non può trattenere le lacrime. 

Napoli è amore, Napoli è la città dove la dimenticanza di Dio è sostituita dalla musica. Lina Sastri fa un atto di affetto verso la sua città ma inevitabilmente la città a lei si abbraccia per regalarsi a chi assiste. Napoli parla del mondo e Lina Sastri diventa il suo corpo e la sua voce. Nella seconda parte l’artista napoletana torna sul palcoscenico vestita da popolana, da maga nera del “vascio” e dai lustrini e all’eleganza iniziale si oppone l’ombra, le credenze e le tammuriate  multietiniche. Lina Sastri affascina ancora di più, cambia registro, tutto diventa più verace, più sporco di bellezza. Un turpiloquio di potenza senza volgarità ma  mistico ed  elegante, mischia culture ed etnie che leggiadre poi si abbandonano su di lei quando balla un tango che toglie il respiro. 

Poi alla fine dopo esser stata richiamata sul palco dall’applauso, fa due omaggi: canta “Assaje” pezzo scritto per lei da Pino Daniele nel film “ Mi manda Picone”  e poi “ Napule è”. Nemmeno il sogno più bello  tra le braccia amorevoli di Morfeo  può pareggiare i conti con le emozioni che solo Lina Sastri sa costruire e donare: non se ne ha mai abbastanza di lei,  della sua bellezza immensa ed immortale, del suo fascino che infuocato brucia il velo della quiete sugli occhi e quella passione che crea un legame indissolubile tra carne e carne, pelle e pelle, tra lei è il pubblico: una artista unica.

fra.alt

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