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Stamani presso la Corte di Appello di Reggio Calabria inizierà il processo a carico dei vertici di alcuni dei maggiori istituti di credito italiani per il reato di usura. La sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Palmi nel novembre del 2007 aveva confermato l’esistenza del reato, come elemento oggettivo,
ma non aveva individuato negli imputati, tra cui Cesare Gerozi, Luigi Abete e Dino
Marchiorello e i colpevoli, in quanto nel corso del dibattimento i Presidenti degli istituti bancari hanno affermato che le responsabilità di decisione dei tassi, che sono il mezzo attraverso il quale le banche ottengono i propri
enormi introiti, erano in capo ad altri soggetti, i direttori generali. “Con molta ansia e preoccupazione, vista l’entità della posta in gioco, ma fiducioso nella giustizia emi auguro anche degli uomini, affronto in qualità di parte lesa
un procedimento che, in ogni caso, modificherà e condizionerà il futuro rapporto
tra banche e clienti”. Così l’imprenditore Nino De Masi (nella foto)a poche ore dall’inizio del processo alle banche. Fu lui insieme al papà Giuseppe a dare il via alla coraggiosa denuncia di usura alla Procura di Palmi.
“Consentire che la Calabria – continua De Masi – sia ancora terra di conquista,
dove il denaro viene venduto, e di gran lunga, al più alto tasso del Paese, è davvero vergognoso ed insopportabile; consentire che con giochetti contabili e tecnicismi matematici venga permesso alle banche di applicare un costo del denaro oltre ogni limite consentito è ignobile, illegale, e cosa ancor più grave in quanto adottato su un territorio, quale è il nostro, in ritardo di sviluppo che dovrebbe essere quindi aiutato, anziché affossato definitivamente. Per non parlare
poi di quali conseguenze tale sciagurato sistema di conduzione del credito ha nella gestione dei soldi pubblici, difatti il sistema bancario è stato sicuramente quello che ha lucrato più di tutti dagli ingentissimi aiuti finanziari
arrivati al sud, sicuramente molto di più dei “prenditori pubblici”.
“Non hanno nessuna giustificazione – continua ancora De Masi – le banche per tali comportamenti, ed inutili sono i tentativi di giustificarsi affermando che la Calabria è la regione più rischiosa e quindi il credito è più costoso, perché
la rischiosità non è la causa ma bensì l’effetto di tale situazione, in quanto in
un sistema economico globalizzato ed altamente competitivo, nessuna azienda può resistere sul mercato con un costo del denaro al 25/35%, e quindi la causa di
mortalità e di fallimento delle attività economiche, oltre che ai gravissimi problemi dati dalla criminalità e dalle carenze infrastrutturali, è da individuarsi nelle banche e nella loro arrogante politica e voracità”. Contro la sentenza di Palmi la Procura Generale ha proposto appello, con un provvedimento dai contenuti molto forti. “Il Processo alle banche, che è stato discusso presso il Tribunale Penale di Palmi, non ha una valenza suggestiva, bensì storica – si
legge nel ricorso in appello della Procura Generale – e, contestualmente, sicuramente giuridica. Sotto il primo aspetto, non può non ricordarsi che si tratta della prima sentenza in Italia con cui è stata riconosciuta ufficialmente
l’usura perpetrata dalle banche nei confronti di propri clienti. Certamente,
quanto accertato dai giudici di Palmi è una disfunzione gravissima che, certamente, comporta un distacco pesantissimo tra il sud ed il resto dell’Europa, impedendo, di fatto, la possibilità di svolgere una corretta attività economica Ebbene, la decisione emessa dal Tribunale di Palmi non lascia spazio ad ulteriori argomentazioni: nel meridione gli Istituti di Credito approfittano dello stato di debolezza del tessuto sociale, di quello economico, della classe politica
e della quasi assenza delle istituzioni, per azionare quei meccanismi, a volte illegittimi e spesso illeciti, che gli consentono di ricevere il massimo dei ricavi”.Una situazione, sicuramente, insostenibile che non può oltre essere ignorata sia dalla politica locale, che da quella nazionale ed europea, ma soprattutto dalla magistratura: consentire il depauperamento di tale territorio
potrebbe vuol dire rafforzare la mafia e le illegalità diffuse. Si comprende, che
una valutazione obbiettiva delle funzioni dei vertici e degli esecutori avrebbe portato – ha sottolineato la Procura – ad una decisione, certamente, diversa, che con ogni probabilità avrebbe sconvolto l’attuale sistema bancario italiano. Il Tribunale, forse, non ha avuto il coraggio di superare il dato formale ed emettere una sentenza forte dei contenuti e delle responsabilità, che, sicuramente, non possono essere negate per quanto sopra riferito (salvo prova del contrario che allo stato non c’è)».

Michele Albanese

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