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di ROBERTO LOSSO
Non ero tra quelli che, a suo tempo, festeggiavano a champagne o si stracciavano le vesti per l’inattesa bocciatura del Ponte sullo Stretto da parte del Parlamento europeo. Non avevo, infatti, un approccio ideologico al problema. Anche se sono convinto, oggi più che mai, che l’infrastruttura, in sé e per sé, non costituisca una rivoluzione copernicana nell’incerto futuro della Calabria e della Sicilia. Quel voto contrario, peraltro, non era vincolante. Conoscendone le tecniche di marketing, pertanto, nutrivo la ragionevole certezza che, ritornati al governo, tutti gli uomini del presidente ci avrebbero messo una pezza. Magari per trasformare la vicenda in una clava propagandistica. Come volevasi dimostrare. Pur in presenza di una crisi devastante, che crea cassa integrazione e nuove povertà, Tremonti ha messo sul piatto 1,3 miliardi di euro. Serviranno per espropriare i terreni che ricadono nel perimetro dell’infrastruttura e per avviare i primi cantieri. Quindi, di fatto, nel breve periodo, almeno fino al 2011, non produrranno né nuovi posti di lavoro né commesse industriali. Allora perché inserire il finanziamento nel pacchetto antidepressione?
Forse perché Berlusconi è attratto dalla grandeur di un ponte a campata unica che, con i suoi 3.300 metri di luce, dovrebbe essere l’ottava meraviglia del mondo? Infatti, al suo confronto, tutti gli altri sarebbero classificati alla voce bonsai. Anche quelli oggi in testa alla classifica delle tecnologie mozzafiato come il ponte di Akaski (Giappone, 1.991 metri) e di Creat Belt East (Danimarca, 1.624 metri). Intorno al ponte tra Scilla e Cariddi si è detto di tutto e di più. Spesso con una petulante enfasi da guerra santa. Lo hanno stroncato. Gli ambientalisti che lo giudicano un ecomostro. Gli indipendentisti siculi che temono per la loro insularità. I cultori del teorema più soldi al Sud più soldi alla mafia. Lo stesso inossidabile misticismo delle verità assolute, ovviamente, la ritroviamo negli ultras del “costruiamolo a tutti i costi”. Stanno lì a sciorinare studi di fattibilità e analisi dei costi/benefici. La cosa più stucchevole, però, è l’insistenza nel presentare il megaponte come l’unico strumento possibile per portare l’Europa nel cuore del Mediterraneo. Teoria datata e molto opinabile. L’allargamento ad est dell’Unione, infatti, ha cambiato radicalmente gli equilibri geo-politici. Slovenia, Polonia e dintorni sono già nel “cuore” dell’Europa. Specialmente di quella molto sensibile alle economie con un basso costo del lavoro (per questo la Marlane ha chiuso gli stabilimenti di Praia a Mare). L’ottava meraviglia del mondo, in ogni caso, dovrebbe costarci 6,1 miliardi di euro (circa 12.000 miliardi delle vecchie lire). Sono tanti. Specialmente oggi che la crisi aggredisce principi di equità che davamo per scontati. Di conseguenza, ci converrebbe ripensare in termini più appropriati le ragioni che spinsero Strasburgo a ribaltare il giudizio del Gruppo Van Miert. Che aveva inserito il ponte nel piano delle infrastrutture di interesse strategico per il vecchio continente. Anzi, ne rilevava l’utilità e l’urgenza per il rafforzamento del mercato interno. L’Europa, bocciando il progetto, non intendeva farci un dispetto. Più semplicemente non voleva scucire neanche un euro per un’opera marginale, e non solo geograficamente, rispetto al suo nuovo baricentro economico e politico. D’altra parte, è significativo che il suo “no!” non contenesse valutazioni preconcette o preoccupate su impatto ambientale, correnti marine e rischio sismico. Il ragionamento era più pragmatico. Il ponte fatevelo pure, ma con i vostri soldi. Anche l’Europa temeva di finanziare una cattedrale nel deserto. Forse perché non era stato fatto quanto necessario per rendere credibile la scelta. Come si può, infatti, parlare di connessione Nord-Sud, quando l’alta velocità si ferma a Salerno e la viabilità è un colabrodo assassino? E quando neanche le direttrici di sviluppo delle due regioni interessate lo considerano una priorità, puntando, come è giusto che sia, a promuovere filiere di qualità nel turismo, nella cultura, nell’agricoltura? Vanno comprese, pertanto, le perplessità di quanti si chiedono se non fosse più urgente destinare tutti questi miliardi di euro a un piano Marshall per la Calabria e la Sicilia. Al momento giusto, superata la crisi globalizzata, avremmo potuto riparlarne. Più serenamente. Invece,è prevalsa l’ideologia del ponte. Perché così vuole il capo. Il che evoca preoccupati richiami al culto della personalità. Quasi che, dall’apertura di quei cantieri, dipendesse la beatificazione di Silvio Berlusconi. Quale uomo del destino che, nonostante le avversità dell’economia e della storia, mantiene le promesse elettorali. Cose già viste. Quando i treni arrivavano in orario.

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