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A Palazzo Chigi la richiesta per la Bacchelli
di ISABELLA MARCHIOLO

IL primo passo è compiuto. L’appello del Quotidiano per lo scrittore Saverio Strati è arrivato a palazzo Chigi, dove, presso la segreteria della presidenza del Consiglio dei ministri, è stata consegnata la richiesta firmata da un gruppo di parlamentari per l’applicazione del sussidio economico della legge Bacchelli all’intellettuale calabrese che vive in stato di indigenza. A promuovere l’iniziativa è stato il nostro giornale che lo ha fatto dalla viva voce dello scrittore, pubblicando un’impietosa lettera dove Strati si autodenunciava come povero. I parlamentari del Pd Franco Laratta e Marco Minniti hanno avviato concretamente la campagna iniziando una sottoscrizione perché anche all’intellettuale reggino sia concesso l’assegno vitalizio che la Bacchelli – legge del 1985 intitolata allo scrittore che ne fu primo beneficiario – prevede per sostenere gli artisti che, nonostante il loro riconosciuto contributo alla cultura italiana, si trovano nel disagio economico. Ad erogare i fondi è il Consiglio dei ministri, tra i destinatari del vitalizio ci sono la poetessa Alda Merini e il cantante Umberto Bindi, e ne ha fruito anche l’attrice Alida Valli, scomparsa nel 2006.
La richiesta presentata al Governo è stata sinora firmata, oltre Laratta e Minniti, da Maria Grazia Laganà Fortugno, Doris Lo Moro, Cesare Marini (tutti Pd), Angela Napoli (Pdl), Mario Tassone (Udc) e Rosa Villecco Calipari (Pd).
«Sono vecchio e stanco per il tanto lavoro. Sono sotto cura, per via della pressione alta. Esco raramente per via che le gambe che a momenti mi danno segni di cedere». Con queste parole essenziali – la nuda cronaca di un’umanità fragile e colpita dall’ineluttabile intemperia dell’anzianità – Strati aveva raccontato al Quotidiano la sua dignitosa lotta per la sopravvivenza. A Scandicci, dove vive con la moglie, lo scrittore è andato avanti per più di vent’anni con i risparmi delle pubblicazioni e dei premi letterari di una bibliografia oggi caduta nell’oblio.
Erano i proventi di una carriera interrotta nel ‘91 dopo il rifiuto della Mondadori, che si tira indietro nella pubblicazione di “Melina”, lavoro già in bozze, e respinge l’inedito “Tutta una vita”.
Ora «quei soldi che ho usato in questi anni di silenzio e di isolamento sono finiti», ha spiegato lucidamente l’ottantacinquenne Strati, chiedendo aiuto allo Stato, che con la legge Bacchelli aveva infranto un tabù: l’opera intellettuale, il bene immateriale dell’arte come lavoro e dunque suscettibile di tutela, normativamente irreggimentato in un sistema sociale assistito dalle istituzioni.
Il welfare della cultura: Riccardo Bacchelli, lo scrittore del “Mulino del Po” fu il pioniere di uno strumento di sostegno che si fonda sul pubblico riconoscimento della condizione di bisogno, una scelta non facile per gli intellettuali, a cui, come dicevamo, è figurativamente negato lo status di lavoratore. Neanche troppo onere per lo Stato (circa 1.500 euro mensili), chiamato all’atto riparatorio, ma sempre moralmente inadeguato, del quantificare un rendiconto del valore intellettuale. L’anno scorso Vittorio Sgarbi, polemizzando con la mancata nomina di Guido Ceronetti a senatore a vita, da lui caldeggiata, propose, per provocazione, di abolire la Bacchelli. Una cifra insufficiente, certo, come lo sono tanti altri assegni statali. Ma Saverio Strati ha un bisogno tangibile di questa piccola quota di “disoccupazione”.
E la sua terra adesso si aspetta il sì dello Stato come un attestato, una certificazione di valore condiviso. Perché significherebbe che la Calabria nella scrittura di Strati è, ufficialmente, un tassello della cultura di questo Paese.

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