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di PIETRO DE LUCA
Ai responsabili della morte di Greco vorremmo dire: diteci che si è trattato di uno scherzo finito in tragedia, dopo una serata al pub il cui vincitore è stato l’alcool, che l’ha fatta da padrone in quel seguito sfuggito ad ogni prevedibile controllo. Diteci questo e noi continueremo a preoccuparci di un problema che già ampiamente era a nostra conoscenza: la noia di una serata, la testa vuota, la ricerca di qualcosa di sensazionale e anche di ardito, insomma la notte brava da raccontare l’indomani agli amici.
Ma non fateci sapere – e non voi a questo punto, ma gli inquirenti e poi i giudici – che le cose sono andate come le leggiamo questa mattina sul giornale, che si è trattato di un atto criminale. Perché, allora, dovremmo impensierirci non poco. Sarebbe segno di un qualcosa che non conoscevamo, e cioè che sta allignando tra i nostri giovani il germe cruento della delinquenza più spietata. Non siamo in grado di dire se sia trasmigrato dal versante mafioso che inquina la nostra aria oppure travasato dalla tivù dei peggiori film dell’orrore direttamente in cervelli sprovvisti di ogni filtro di sbarramento.
E comunque, una cosa è certa, il delitto di Acri andandosi a sommare agli altri due o tre dei mesi scorsi che hanno visto protagonisti altri giovani, costringe a focalizzare lo sguardo in profondità, appunto nelle nuove generazioni. Eravamo propensi a ritenere, o forse ci siamo illusi, che proprio esse stavano allungando la distanza con il mondo vecchio del malaffare e del crimine e, invece, vediamo abbattersi su di esse l’onda funesta di un passato che non muore.
Deve obbligatoriamente fermarsi questa Calabria per qualche giorno e porre il capo tra le mani per mettere su carta la traiettoria di un’altra marcia. E’ dir poco alternativa. Bisognerebbe dire a questo punto, coscienziosamente, opposta. Perché qui c’è segnato il nostro fallimento. C’è qualcosa nel mondo dei nostri ragazzi che è molto di più di quello che emerge. C’è vuoto e noia, droga e disperazione; ci sono soggetti già passati nell’emarginazione, fuori dai circuiti della scuola e dell’istruzione; invano, o forse neanche più, dinanzi ad un probabile inserimento nel mondo del lavoro. C’è la parte migliore di noi che non sta più neanche con noi che pure stinchi di santi non siamo.
Nessuno potrà chiamarsi fuori e l’esame è difficile e faticoso per tutti, lo comprendiamo bene. La domanda è: che cosa stiamo facendo, ci siamo, siamo qui dove il dramma si consuma, o siamo altrove? E la febbre di trovare una risposta dovrà assalire tutti: la politica, la società civile, la chiesa, i partiti, la scuola, la sanità, il pur attento volontariato. E perché, no? Noi della carta stampata, quelli della televisione, chiunque in qualche modo sa di contare alla maniera di un’agenzia educativa.
Che il delitto di Acri non passi sbrigativamente come un fatto esecrabile e, perché atroce, anche sui generis. E’ troppo grave perché sia effervescenza funesta di qualcosa scappato di mano ai suoi esecutori. Forse è il segnale di qualcosa che emerge da un fiume carsico e inesplorato.

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