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Dietro l’agguato a Saverio Zavettieri, l’ex assessore regionale che scampò al progetto di morte delle cosche solo per puro caso, c’era un disegno preciso della mafia. Un summit per siglare la pace e progettare un omicidio importante. Una riunione in un bar di Bova Marina, alla presenza di grossi esponenti delle cosche di riferimento di Africo, per mettere fine ad una faida decennale e progettare
l’assassinio di un politico e pianificare il piano di “inabissamento”. Nulla di conclamato in sede giudiziaria, ma compendiato nelle informative delle forze dell’ordine.
I vertici delle “famiglie” Talia e Vadalà, le consorterie che dominano sul territorio del comune di Bova Marina, dopo anni di piombo e di sangue
per marcare il predominio territoriale decisero che era giunto il tempo di cambiare strategia. Davanti ai notai della cosca Morabito di Africo, quindi, poche settimane prima che un killer, ancora sconosciuto, esplodesse contro la porta finestra di casa Zavettieri un colpo di fucile, i capi dei Talia e quelli dei Vadalà siglarono un patto di ferro: un patto di non belligeranza. Per non avere problemi nella gestione degli “affari di famiglia”, poi, i Talia ed i Vadalà scelsero di dare vita ad una struttura di coordinamento dell’attività criminale e di chiamarla “base”.
E’ la “base” a decidere le strategie, nessuno può esimersi dal rispettare le sue scelte, nessuno “senza prima informare gli esponenti dell’organo direttivo” può compiere gesti criminali di qualsiasi natura.
In quel mondo, dunque, Saverio Zavettieri era diventato un esponente scomodo, un amministratore da “piegare”, ad ogni costo, alle proprie necessità: anche attraverso la sua eliminazione fisica.

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